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Green Retail  - Ristorazione collettiva, l'inflazione blocca la ripresa
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News A cura di: Fabrizio Vallari

Ristorazione collettiva, l'inflazione blocca la ripresa

Per Angem chi ha sottoscritto un contratto pre-pandemia lavora in perdita. E le stazioni appaltanti non applicano regole uniformi.

Pesano sempre di più i costi extra degli imballaggi in plastica (+70% rispetto al 2021), cartone (+40%) e vetro (+30%).

L’impennata dei costi delle materie prime alimentari, insieme a quella dell’energia, rischia di far implodere il servizio di mensa all’interno di scuole, ospedali, strutture pubbliche ed imprese private.

A lanciare l’allarme è Carlo Scarsciotti, presidente di Angem, l’associazione nazionale di categoria legata a Fipe-Confcommercio, in occasione degli Stati Generali della Ristorazione Collettiva che si sono tenuti a Roma con gli interventi del sottosegretario al Ministero delle Imprese e del Made in Italy, Massimo Bitonci, del presidente di Confcommercio-Imprese per l’Italia, Carlo Sangalli, e del presidente di Fipe-Confcommercio, la Federazione italiana dei Pubblici esercizi, Lino Enrico Stoppani.

Un allarme rivolto al Governo cui dipendo le sorti del prossimo codice degli appalti e in particolare al Ministero delle Imprese e del Made in Italy e al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti.

Due i principali problemi del sistema: da un lato la scarsa e non uniforme applicazione della norma del Sostegni ter che impone alle stazioni appaltanti (Comuni, Regioni, Pubbliche amministrazioni, ma anche Asl, Corpi di polizia, ecc…) di inserire all’interno dei bandi di gara apposite clausole per la revisione dei prezzi.

Dall’altro l’impossibilità, per molte imprese, di rispettare i vincoli imposti dai Criteri Ambientali Minimi, che sanciscono l’obbligo di portare in tavola una percentuale di prodotti certificati Bio. Prodotti che oggi però o sono difficili da reperire, o sono molto onerosi.

“Queste distorsioni – sottolinea Scarsciotti – di fatto costituiscono una violazione del principio delle uguali regole in uno stesso mercato. Le imprese che hanno siglato i contratti pre-pandemia, quando non era previsto alcun adeguamento dei prezzi, si trovano ora a lavorare in perdita: non ricordo altri esempi di servizi pubblici essenziali in appalto che operino a prezzi fissi malgrado la fiammata inflazionistica. Chi lo ha sottoscritto dopo, invece, vive nel limbo costituito dalla discrezionalità lasciata ad ogni stazione appaltante. In pratica, abbiamo decine di migliaia di committenti in tutta Italia, ciascuno dei quali è libero di dettare le condizioni che preferisce in merito all’adeguamento dei prezzi, in ragione del boom dell’inflazione e dei costi energetici. Tutto questo è inaccettabile”.

“Occorre – aggiunge il presidente Scarsciotti – stabilire dei criteri uniformi in relazione ai quali le aziende della ristorazione collettiva possono richiedere l’adeguamento dei prezzi, proprio come avviene negli appalti per i lavori, valorizzando e ridando fiato alle migliaia di piccole, medie e grandi aziende del comparto”.

“Se l’impennata dei prezzi delle materie prime e dei costi dell’energia è un problema per tutte le imprese – commenta Lino Enrico Stoppani, presidente di Fipe-Confcommercio, la Federazione italiana dei Pubblici esercizi, di cui Angem fa parte –, nel caso della ristorazione collettiva c’è un problema in più. L’obbligo di operare in costanza di prezzi fissi, in un quadro di grande volatilità, diventa un fardello che da solo è sufficiente a spiegare le difficoltà nelle quali versa chi opera in questo settore”.

“Auspichiamo – ha concluso il presidente Stoppani – che le clausole di salvaguardia introdotte nello schema preliminare del nuovo codice appalti possano essere d’aiuto affinché le ricadute degli aumenti dei costi delle materie prime alimentari e dell’energia non si riversino direttamente ed esclusivamente sulla sostenibilità economica ed operativa delle aziende che erogano un servizio di interesse pubblico essenziale”.

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