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Green Retail  - Il modello federativo di Selex: eccellenza operativa e opportunità strategiche inespresse
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Finanza & Rendicontazione A cura di: Domenico Canzoniero

Il modello federativo di Selex: eccellenza operativa e opportunità strategiche inespresse

Il dodicesimo Bilancio di Sostenibilità di Selex documenta performance solide su energia (+18% fotovoltaico) e territorio (11 milioni investiti). Ma emerge il limite di un approccio che eccelle sugli impatti laterali evitando la questione centrale: quale ruolo può giocare un network di 780 punti vendita nella gestione della domanda alimentare verso minore impronta carbonica e maggior equilibrio nutrizionale?


Quando un gruppo distributivo composto da una Centrale e 18 Imprese Socie autonome pubblica il dodicesimo Bilancio di Sostenibilità, la sfida non riguarda solo cosa misurare, ma come coordinare la misurazione tra soggetti che mantengono identità e strategie differenziate. Gruppo Selex rappresenta uno dei principali esempi italiani di modello federativo - caratteristica distintiva della GDO italiana (Conad, Despar, Crai, SISA) rispetto alle catene verticalmente integrate europee - dove la Commissione RSI deve armonizzare standard comuni preservando autonomia locale.

Il coordinamento multi-soggetto facilita o complica strategie di sostenibilità ambiziose? La diversificazione territoriale è asset o vincolo per affrontare impatti sistemici come le emissioni Scope 3 o l'orientamento nutrizionale degli assortimenti?

«Sono felice di presentarvi la nostra dodicesima edizione del Bilancio di Sostenibilità», dichiara Maniele Tasca, Direttore Generale Gruppo Selex, «un traguardo importante che conferma la nostra visione di imprese orientate al futuro, capaci di coniugare il radicamento al territorio e la responsabilità verso le comunità e l'ambiente in cui operiamo, con l'evoluzione delle nostre organizzazioni».

Solidità su impatti laterali, silenzio su quelli materiali

I dati documentano progressi consolidati: oltre 11 milioni di euro a iniziative territoriali (+2,3%), 225.000 ore di formazione (+24,4%), +18% produzione fotovoltaica, neutralità Scope 2 della Centrale, ottimizzazione packaging MDD. Il progetto "Il punto vendita sostenibile" con il Politecnico di Milano definisce standard per negozi efficienti, anche se il Bilancio non quantifica ROI differenziati per territorio.

«Il nostro approccio si fonda su un modello che unisce strategie condivise a livello nazionale e valorizzazione delle singole identità locali», sottolinea Alessandro Revello, Presidente di Gruppo Selex. «I risultati raccontati in questo Bilancio sono il frutto di scelte comuni e dell'autonomia imprenditoriale delle nostre Imprese Socie, capaci di rispondere con efficacia alle esigenze del territorio».

Risultati solidi su tutto ciò che riguarda l'efficienza operativa diretta: energia, rifiuti, packaging secondario, formazione, welfare. Ma questa eccellenza su impatti che rappresentano circa il 5% dell'impronta complessiva solleva un interrogativo: quando un gruppo che gestisce 780 punti vendita affronterà gli impatti che ne costituiscono il 95%?

Scope 3 e gestione della domanda: l'elefante nella stanza

Il sesto Report di Sostenibilità di Federdistribuzione rileva che solo il 47% delle aziende del settore traccia le emissioni Scope 3 e il 29% ha definito obiettivi quantitativi. Il Bilancio Selex conferma questo pattern: risultati su Scope 1 e 2, silenzio su Scope 3. Nessun obiettivo quantificato sulla riduzione delle emissioni incorporate nei prodotti venduti, nessuna strategia per orientare assortimenti verso referenze a minore intensità carbonica, nessun sistema di misurazione dell'impronta media del carrello.

La matematica è chiara: se il 50% delle emissioni dei consumatori europei deriva dalle scelte alimentari (dati JRC) e il 70% di queste scelte avviene nei supermercati, un network di 780 punti vendita ha un potenziale di influenza sulla decarbonizzazione superiore a qualsiasi efficientamento energetico. Eppure il Bilancio non menziona strategie per incentivare proteine vegetali, valorizzare Dieta Mediterranea, ridurre promozione ultra-processati, informare su impronta ambientale e nutrizionale.

Alcune insegne europee hanno già intrapreso questa strada: Lidl (+20% proteine vegetali entro 2030, eliminazione pubblicità alimenti non salutari ai bambini), Albert Heijn (44,1% vendite proteine vegetali, target 60% entro 2030), Carrefour (-30% impronta carbonica prodotti venduti entro 2030).

Le leve strategiche ancora inespresse

Con 26 miliardi di euro di fatturato MDD nel mercato italiano, la Marca del Distributore rappresenta la leva più potente per orientare produzione e consumo. Per Selex, con 18 Imprese che sviluppano MDD differenziate, questa potrebbe diventare strumento di transizione: ribilanciare assortimenti verso pilastri Dieta Mediterranea, ridurre sale e zuccheri (come Esselunga o le 12 referenze Penny-AIRC), sviluppare linee vegetali accessibili, etichettare impatti ambientali e nutrizionali.

Quando circa 100.000 decessi in Italia sono causati da una cattiva dieta e il sistema alimentare genera il 30% delle emissioni europee, orientare gli assortimenti non è scelta etica ma responsabilità sistemica.

Il modello consortile potrebbe trasformare questa responsabilità in vantaggio: le 18 Imprese sperimentano approcci differenziati per territorio, la Commissione RSI identifica best practice e ne accelera la diffusione. Un laboratorio di innovazione distribuita che le insegne verticalmente integrate non possono replicare.

Dalla procedura alla sostanza: CSRD e doppia materialità

Il potenziamento formativo (+17%) prepara l'organizzazione alla CSRD. Ma quando arriveranno audit rigorosi sulla doppia materialità, la competenza procedurale potrebbe rivelarsi insufficiente. La CSRD richiede di identificare gli impatti veramente materiali: per la distribuzione, l'impatto nutrizionale sulla salute pubblica e le emissioni Scope 3 della filiera.

Il sesto Report Federdistribuzione evidenzia il limite strutturale: il 94% delle aziende dichiara allineamento CSRD, ma solo il 47% traccia Scope 3 e il 29% ha obiettivi quantitativi. Zero strategie per limitare ultra-processati, zero obiettivi di miglioramento nutrizionale. Il settore eccelle su impatti laterali (5% dell'impronta), evitando sistematicamente il 95% che metterebbe in discussione i modelli di business consolidati.

L'approccio Human&Green - prendersi cura di persone e pianeta - richiede di riconoscere che salute e ambiente sono dimensioni interconnesse. Selex ha costruito competenze su welfare, formazione, territorio. Ma il vero "prendersi cura" passa per una domanda: cosa mettiamo nei carrelli di 780 punti vendita che influenzano le scelte di milioni di consumatori?

I modelli consortili italiani potrebbero trasformare la struttura federativa in laboratorio di transizione: valorizzare la Dieta Mediterranea adattata a tradizioni locali, testare pricing che favoriscano proteine vegetali, sviluppare format specializzati, creare benchmark interni su impatto nutrizionale e climatico. Un'opportunità che le insegne verticalmente integrate non possono replicare nell'immediato.

Conclusioni

Il dodicesimo Bilancio di Sostenibiilità di Selex documenta solidità gestionale su dimensioni consolidate ma evidenzia il limite che tutto il settore condivide: competenza procedurale su impatti marginali, assenza di strategia sugli impatti materiali. Gruppo Selex, con 780 punti vendita e un modello federativo che facilita la sperimentazione distribuita, potrebbe trasformare questa sfida in opportunità: diventare pioniere nella gestione della domanda alimentare verso minore impronta carbonica e maggior equilibrio nutrizionale.

Questo richiede un passaggio culturale: riconoscere la sostenibilità non come compliance o comunicazione, ma come ridefinizione del ruolo della distribuzione moderna. Non più solo intermediario commerciale, ma facilitatore attivo della transizione verso un sistema alimentare che - come richiede la Costituzione - non rechi danno alla salute e all'ambiente delle future generazioni.

I 780 punti vendita hanno il potenziale per diventare spazi dove prendersi cura non è slogan, ma strategia misurabile in ogni decisione di assortimento, pricing e comunicazione. Trasformare questo potenziale in realtà è la vera frontiera della sostenibilità nel retail.

       
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