Bresaola della Valtellina IGP: la trasparenza come risposta alle sfide del settore
Il Consorzio di Tutela affronta con dati alla mano i nodi critici di una filiera da 13mila tonnellate certificate: 80% di materia prima dal Sud America, barriere tariffarie che pesano fino al 50% sui costi, quota europea in calo dal 30% al 22%. E una posizione netta sull'EUDR: no al rinvio sulla deforestazione.
La stagionatura di un salume può raccontare molto più di una semplice lavorazione artigianale. Nel caso della Bresaola della Valtellina IGP, racconta la complessità di una filiera che deve bilanciare tradizione territoriale, vincoli di approvvigionamento e impegni di sostenibilità ambientale. In occasione della 118ª Mostra del Bitto, il Consorzio di Tutela sceglie la strada della trasparenza integrale, mettendo sul tavolo numeri e criticità di un comparto che vale 13mila tonnellate di prodotto certificato.
La questione dell'origine: necessità strutturale, non scelta economica
L'80% della materia prima destinata alla produzione di Bresaola della Valtellina IGP proviene dal Sud America, principalmente da Brasile, Paraguay, Uruguay e Argentina. Il 20% arriva dall'Europa (Francia, Irlanda, Austria, Germania), con una quota residuale dall'Italia. Percentuali che potrebbero alimentare critiche superficiali, ma che nascondono una realtà produttiva più articolata.
«La disponibilità limitata di bovini italiani non è una questione di costi, ma di volumi e caratteristiche specifiche», spiega Mario Moro, presidente del Consorzio. La scelta dei tagli più pregiati dalla coscia di bovini adulti di razze specifiche (Charolaise, Limousine, Blonde d'Aquitaine, Nellore, Guzerat, Brahman) richiede una selezione che il mercato italiano non può soddisfare su scala industriale. Anzi, la carne destinata all'IGP ha un costo mediamente superiore rispetto ad altri tagli proprio per le sue caratteristiche compositive.
La contrazione della disponibilità europea aggrava il quadro: se nel 2023 la quota UE era al 30%, nel 2024 è scesa al 22%, con previsioni di ulteriore calo nel 2025. Una dinamica che costringe le aziende certificate a dipendere sempre più da importazioni extraeuropee, con tutto il peso economico e normativo che ne consegue.
Il costo nascosto della tracciabilità: barriere tariffarie al 50%
Dietro ogni fesa di Bresaola della Valtellina IGP c'è un percorso di importazione che può aumentare il costo della materia prima fino al 50% rispetto al prezzo iniziale. Le licenze GATT, che permetterebbero un dazio agevolato del 20%, sono vincolate a volumi fissi e oggi vengono utilizzate non solo per tagli pregiati ma anche per parti destinate ad hamburger e altre lavorazioni. Il ricorso al regime extra-GATT diventa quindi quasi inevitabile, con un impatto pesante sui margini delle aziende certificate.
«Parliamo di barriere che comprimono fatturato e capacità di programmazione», sottolinea Moro. «In assenza di provvedimenti rapidi, il distretto produttivo della Valtellina rischia di trovarsi in seria difficoltà, nonostante sia un'eccellenza riconosciuta del nostro Paese e un settore vitale per l'economia provinciale».
Una contraddizione evidente: il sistema normativo europeo chiede tracciabilità e garanzie di sostenibilità, ma penalizza economicamente chi si approvvigiona da filiere certificate extra-UE.
EUDR: il Consorzio dice no al rinvio
Sul fronte della sostenibilità ambientale, il Consorzio assume una posizione netta: contrarietà a un ulteriore rinvio dell'entrata in vigore del Regolamento UE 2023/1115 sulla Deforestazione (EUDR). Una scelta che va controcorrente rispetto alle pressioni per uno slittamento dei termini (attualmente fissati al 30 dicembre 2025 per le grandi imprese e al 30 giugno 2026 per le micro e piccole imprese).
Il nuovo regolamento impone che materie prime come la carne bovina possano essere importate nell'UE solo se provengono da aree in cui non si sono verificati fenomeni di deforestazione dopo il 31 dicembre 2020, nel pieno rispetto delle normative locali e dei diritti delle comunità coinvolte. Un requisito che richiede sistemi di tracciabilità avanzati e investimenti significativi lungo tutta la filiera.
«La nostra filiera sta dedicando tempo e risorse considerevoli per adeguarsi alle nuove disposizioni europee», conferma il presidente del Consorzio. «Riteniamo che un ulteriore rinvio rappresenterebbe un passo indietro sul piano della tutela delle foreste e dell'ambiente». Una posizione che evidenzia come l'impegno verso la trasparenza e la responsabilità ambientale possa diventare un elemento distintivo del posizionamento competitivo, a patto che venga riconosciuto anche sul piano economico.
Il Consorzio chiede infatti che lo sforzo di adeguamento all'EUDR venga accompagnato da una revisione favorevole delle barriere tariffarie in ingresso nell'UE, collegando esplicitamente l'impegno per la sostenibilità alla necessità di condizioni economiche più equilibrate.
Il valore della certificazione IGP: controllo e territorialità
Ogni fase della produzione, dalla selezione della materia prima alla stagionatura, avviene esclusivamente nella provincia di Sondrio sotto la sorveglianza di CSQA Certificazioni, organismo terzo autorizzato dal MASAF. Il Disciplinare di Produzione stabilisce che tutte le operazioni di elaborazione devono svolgersi nel territorio valtellinese, non solo una fase come previsto dalla normativa europea per le IGP.
Una scelta che lega indissolubilmente il prodotto al territorio: è il clima unico della valle, unito al sapere artigianale tramandato dai maestri salumieri, a rendere possibile la trasformazione di tagli di carne selezionati in un'eccellenza riconosciuta. Il valore non si misura solo nella qualità organolettica del prodotto finito, ma anche nell'impatto sulla comunità locale: l'intero comparto contribuisce a preservare un tessuto economico e culturale che dà lavoro e continuità a centinaia di famiglie.
Una trasparenza che interroga il sistema
La scelta del Consorzio di mettere in evidenza dati, criticità e posizioni nette rappresenta un approccio non scontato nel panorama delle certificazioni di qualità. Ammettere che l'80% della materia prima arriva dal Sud America, denunciare l'impatto delle barriere tariffarie, sostenere l'applicazione dell'EUDR nei tempi previsti nonostante i costi: sono passaggi che espongono il comparto a possibili critiche, ma che costruiscono credibilità su basi più solide della semplice retorica del "made in Italy".
La questione che emerge non riguarda solo la Bresaola della Valtellina IGP, ma il modello stesso delle filiere agroalimentari certificate in un mercato globalizzato. Quando la territorialità della trasformazione incontra la necessità di approvvigionamento internazionale, quando gli impegni di sostenibilità devono confrontarsi con barriere economiche che ne penalizzano l'attuazione, le contraddizioni del sistema diventano evidenti.
Il caso della Bresaola della Valtellina dimostra che la trasparenza può diventare un asset competitivo solo se accompagnata da coerenza nelle politiche di settore. Chiedere tracciabilità e sostenibilità certificata, e poi penalizzare economicamente chi investe per raggiungerle, produce distorsioni che nessuna comunicazione può compensare. La sfida vera non è raccontare meglio la complessità, ma costruire condizioni di mercato che la rendano sostenibile anche economicamente.
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