Il Parlamento europeo alleggerisce la rendicontazione ESG: cosa cambia per il retail italiano
Soglie più alte, meno dettagli obbligatori e responsabilità nazionale: il voto di giovedì ridisegna gli obblighi di sostenibilità per le imprese europee. Una svolta che coinvolge direttamente la grande distribuzione italiana e i suoi fornitori, riducendo la pressione normativa ma aprendo interrogativi sulla credibilità degli impegni ambientali del settore.
Il Parlamento europeo ha approvato giovedì 13 novembre con 382 voti favorevoli una sostanziale revisione degli obblighi di rendicontazione di sostenibilità e dovere di diligenza che le imprese europee devono rispettare. La decisione modifica profondamente il perimetro applicativo della Corporate Sustainability Reporting Directive (CSRD) e della Corporate Sustainability Due Diligence Directive (CSDDD), con conseguenze dirette per buona parte del sistema distributivo italiano.
Le nuove soglie dimensionali escludono di fatto dall'obbligo di rendicontazione ESG molte insegne della distribuzione organizzata: il testo approvato richiede la reportistica di sostenibilità solo alle imprese con oltre 1.750 dipendenti e un fatturato netto annuo superiore a 450 milioni di euro. Una stretta che interessa principalmente i player internazionali e le maggiori insegne italiane, lasciando fuori una quota significativa della DO che operava già in un'ottica di compliance normativa.
Dalla rendicontazione dettagliata alla semplificazione operativa
La filosofia alla base delle modifiche approvate punta a sgravare le imprese da quello che Bruxelles definisce un «eccesso di oneri amministrativi». Le relazioni di sostenibilità richiederanno meno dettagli qualitativi, mentre le informazioni settoriali - fino ad oggi obbligatorie - diventeranno facoltative. Una scelta che si riflette anche sugli obblighi di tassonomia degli investimenti sostenibili, ora anch'essi limitati alle sole grandi imprese.
Per la filiera del retail, l'aspetto più rilevante riguarda i rapporti con i fornitori: le grandi imprese non potranno più richiedere alle PMI della supply chain informazioni aggiuntive rispetto a quelle previste negli standard volontari. Una protezione per i piccoli produttori che fino ad oggi si trovavano a dover gestire richieste differenziate da parte di ogni cliente della GDO, ma anche una potenziale criticità per chi costruiva strategie di sostenibilità fondate sulla tracciabilità di filiera.
Due diligence: solo per i giganti, con approccio risk-based
Sul fronte degli obblighi di due diligence, la stretta è ancora più marcata. Le nuove soglie - oltre 5.000 dipendenti e un fatturato netto superiore a 1,5 miliardi di euro - escludono di fatto la stragrande maggioranza delle insegne italiane, concentrando gli obblighi sui gruppi multinazionali. Per questi soggetti, però, cambia radicalmente l'approccio: non più una verifica sistematica dell'intera catena di fornitura, ma un controllo proporzionato al livello di rischio effettivo.
Le imprese dovranno identificare e mitigare gli impatti negativi su persone e ambiente utilizzando «solo le informazioni già disponibili», e potranno richiedere dati aggiuntivi ai partner commerciali più piccoli «solo come ultima risorsa». Una formulazione che introduce flessibilità ma anche margini di interpretazione significativi.
Scompare inoltre l'obbligo di preparare un piano di transizione per allineare il modello di business agli obiettivi dell'Accordo di Parigi. Una rinuncia che solleva interrogativi sulla reale capacità del sistema normativo europeo di guidare la transizione climatica del settore privato attraverso strumenti obbligatori.
Responsabilità nazionale e regime sanzionatorio
La revisione sposta a livello nazionale la gestione della responsabilità per inadempienza agli obblighi di due diligence. Le imprese che non rispettano le norme potrebbero essere soggette a multe la cui entità sarà definita dalla Commissione europea e dagli Stati membri, ma dovranno rispondere dei danni causati secondo le normative nazionali - non più a livello UE. Un approccio che frammentare il quadro regolatorio e potrebbe generare disparità di trattamento tra paesi membri.
Per facilitare l'orientamento normativo, la Commissione europea è chiamata a istituire un portale digitale unico con accesso gratuito a moduli, linee guida e informazioni su tutti gli obblighi di rendicontazione dell'UE, in complemento al Punto di Accesso Unico Europeo.
L'equilibrio difficile tra competitività e credibilità
«Il voto di oggi dimostra che l'Europa può essere al tempo stesso sostenibile e competitiva», ha dichiarato il relatore Jörgen Warborn. La semplificazione normativa risponde alle pressanti richieste delle imprese europee, che negli ultimi mesi hanno moltiplicato le pressioni su Bruxelles evidenziando i costi della conformità e il rischio di perdita di competitività rispetto ai competitor extraeuropei.
Per il retail, però, l'alleggerimento normativo si inserisce in un quadro già complesso. L'84,5% della spesa in GDO (dati Osservatorio Immagino 2025) va a prodotti con un green claim monocriterio sul packaging - dichiarazioni ambientali basate su un solo aspetto dell'impronta ecologica - mentre le evidenze scientifiche continuano a segnalare l'insufficienza di questo approccio nel generare riduzioni reali degli impatti.
La domanda che emerge è se un quadro normativo più leggero favorirà una maggiore adozione volontaria di pratiche sostenibili o se, al contrario, allenterà ulteriormente la tensione verso obiettivi ambientali misurabili. Il rischio è che la semplificazione amministrativa si traduca in un arretramento sostanziale della transizione ecologica del largo consumo, proprio nel momento in cui le evidenze scientifiche ne sottolineano l'urgenza.
Prossimi passaggi e tempistiche
I negoziati con i governi dell'UE - che hanno già adottato la loro posizione - inizieranno il 18 novembre con l'obiettivo di finalizzare il testo legislativo entro il 2025. Il Parlamento europeo ha già rinviato l'applicazione delle norme originali e sta procedendo rapidamente con il pacchetto di semplificazione "Omnibus I", presentato dalla Commissione il 26 febbraio 2025 nell'ambito di un più ampio progetto di riduzione degli oneri amministrativi per rafforzare la competitività dell'UE.
Per il retail italiano, sarà determinante comprendere come le singole insegne interpreteranno questo nuovo contesto normativo: se come un'opportunità per alleggerire costi e burocrazia mantenendo impegni volontari credibili, o se come un via libera a ridimensionare strategie di sostenibilità che stavano faticosamente prendendo forma.
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