Fabrizio Vallari
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La circolarità nel largo consumo. Il secondo webinar del ciclo di incontri Plef - Green Retail dedicati alla transizione ecologica
La transizione ecologica dipende dal successo del passaggio da un’economia lineare a un’economia circolare. Ma a che punto siamo nel retail e nel largo consumo?
Questa la riflessione alla base del secondo incontro del ciclo di webinar promossi da Planet Life Economy Foundation (PLEF) e la testata Green Retail, svoltosi lo scorso 13 Luglio.
L’evento, moderato da Fabrizio Vallari, direttore editoriale di Greenretail.news ha raccolto gli interventi di Francesca Ceruti, del Dipartimento Sostenibilità dei Sistemi Produttivi e Territoriali di Enea (Agenzia Nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo economico sostenibile), Alfio Fontana, Corporate Sustainability Manager di Humana People To People e Luca Cassani, Corporate Sustainability Manager di Epson Italia.
Francesca Ceruti ha aperto il suo intervento affermando che dal 15 Maggio l’Italia è in debito ecologico, consuma cioè più risorse di quante dovrebbe per non depauperare il pianeta, questo in evidente anticipo rispetto al prossimo 28 Agosto, la data calcolata a livello mondiale per quest’anno, il cosiddetto Country Overshoot Day.
«Stiamo assistendo dunque ad un progressivo deterioramento delle risorse a disposizione, dovuto anche al fatto che il tasso di circolarità a livello mondiale è nel contempo sceso dello 0,5 % negli ultimi anni. Un problema a cui se ne aggiunge un altro: la difficile reperibilità delle materie prime, ormai definite critiche dall’Unione Europea in termini di approvvigionamento e relativa importanza», ha sottolineato Ceruti.
Per questi motivi, «non si può più prescindere dalla transizione a un economia circolare, che sostituisce il concetto di ‘fine vita’ con la riduzione, il riutilizzo, il riciclo dei materiali, all’interno dei processi di produzione e consumo». Ma chi deve farsi carico di questo compito? «Le aziende soprattutto, che devono alimentare lo scambio di risorse attraverso la cosiddetta simbiosi industriale, la quale prevede che i rifiuti generati da processi produttivi di un determinato settore industriale vengano recuperati e riutilizzati da un altro, in un percorso di ottimizzazione generale».
Si tratta proprio di ciò che da sempre viene considerato come perno centrale del proprio modello di business da Humana People to People, come ha evidenziato Alfio Fontana.
Questa realtà no profit, presente in 45 paesi nel mondo, che come principale attività ha la raccolta e il recupero di abiti usati (rivendita degli abiti, riutilizzo di tessuto, recupero energetico) è stata tra i pionieri dell’economia circolare: «Il programma formativo di una scuola danese negli anni ‘70, che prevedeva per gli studenti un periodo di soggiorno all’estero nei paesi meno sviluppati, è stata la molla che ha portato a costituire ciò che Humana è oggi nel mondo; in Italia una rete di oltre 4800 contenitori per la racconta di abiti usati sparsi su tutto il territorio, che vengono stoccati e smistati in cinque diversi impianti per poi essere di nuovo rimessi in circolo». Ogni cittadino può dare il proprio contributo, portando nei noti contenitori gialli gli abiti dismessi. «Oltre il 67% di quello che viene smistato è destinato al riutilizzo, ciò che consente di evitare l’emissione di ulteriore anidride carbonica e lo spreco di nuova acqua. Lo scorso anno, i 21 milioni di chilogrammi di vestiti raccolti in Italia hanno evitato l’emissione di otre 73 milioni di kg di Co2 nell’aria», ha sottolineato Fontana. Ma come avviene il riutilizzo? «Attraverso una rete di negozi che Humana ha sparsi in tutto il territorio, i cui proventi sono destinati al sostegno dei progetti di cooperazione internazionale a lungo termine in quattro ambiti di intervento: prevenzione, istruzione e formazione, agricoltura e sicurezza alimentare, aiuto all’infanzia e sviluppo comunitario. Un esito che valorizza anche da un punto di vista sociale l’indumento».
Sulla scia di questa esperienza, anche in Italia sono sorte iniziative di aiuto alla comunità, come ‘ORTO 3C’, un progetto di agricoltura sociale nato per coinvolgere persone in difficoltà socioeconomica, grazie anche al sostegno finanziario di aziende partner di Humana.
Luca Cassani ha fatto il punto sull’azienda da lui rappresentata, Epson Italia, il cui obiettivo è diventare carbon negative entro il 2050, che significa smettere di utilizzare risorse del sottosuolo, promuovendo un graduale passaggio dalla produzione di tipo lineare a quella circolare a tutti gli effetti. «Un percorso che dovrà prevedere diversi step poiché per questioni normative non è semplice produrre prodotti elettronici con materiali riciclati, la plastica in particolare», ha sottolineato Cassani che ha raccontato come Epson stia in via sperimentale, per uno specifico tipo di stampante, utilizzando flaconi in sostituzione alle normali cartucce, stimando così una riduzione nelle emissioni di CO2 pari all’84%, considerata la vita più lunga dei flaconi per fogli stampati. Non solo. «Una nuova tecnologia consente invece di riconvertire il foglio stampato in foglio pronto per un nuovo utilizzo, grazie ad un’innovazione che non prevede consumo di acqua durante il processo».
A che punto siamo dunque con la realizzazione di un’economia circolare nel nostro Paese? A fine webinar una sintesi efficace è arrivata dalle parole di Emanuele Plata, cofondatore e consigliere Plef: «Ci sono esempi illuminanti, come quelli delle aziende che abbiamo coinvolto in questo nostro incontro, ma anche aree di debolezza su cui lavorare. Le piccole e medie imprese devono essere più predisposte a fare squadra, sviluppando simbiosi territoriali. Ad oggi sono troppo pochi gli esempi di questo tipo. La circolarità è un processo virtuoso che ha bisogno della consapevolezza di tutti e che non può prescindere da un marcato orientamento allo sviluppo sostenibile. E in questo un grande aiuto arriva dalla Natura: soltanto comprendendone gli insegnamenti (in natura non esistono rifiuti ed ogni parte è funzionale all’ecosistema) potremo progredire».