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Green Retail  - Il prossimo grande trend nel fashion retail: un modello di business circolare
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Innovazione & Ricerca A cura di: Fabrizio Vallari

Il prossimo grande trend nel fashion retail: un modello di business circolare

È possibile un modello di business più etico per la moda? E quali strumenti e tecnologie sono necessari per facilitare questi nuovi modi di fare business?

A cura di di Laurent Homeyer (nella foto), Strategic Industry Advisor, Retail & Hospitality di Workday.

Il "fast fashion", ora onnipresente, ha iniziato a prendere piede solo alla fine degli anni '80. È difficile da credere, ma il modo in cui i retailer operanti nella grande distribuzione ora rispondono alle ultime tendenze producendo rapidamente abbigliamento economico è un fenomeno relativamente recente. Per certi versi l'emergere del fast fashion sembra inevitabile. La moda è, dopotutto, basata sull'adozione delle ultime tendenze, che si trovino nelle pagine di Vogue o negli "haul" di moda di un influencer sui social media. Tuttavia, l'impatto che ciò ha avuto sulle abitudini dei consumatori, sull'industria del retail e sul Pianeta è stato profondo.

Il grande problema della moda

Secondo la Ellen Macarthur Foundation, a livello globale i clienti perdono un valore di 460 miliardi di dollari all'anno gettando via abiti che potrebbero continuare ad indossare, stimando che alcuni capi vengano scartati dopo soli sette o dieci utilizzi. Ancora più sorprendentemente, la Banca Mondiale stima che il 40% dell'abbigliamento acquistato in alcuni paesi non venga mai utilizzato. L'impatto che questi rifiuti stanno avendo sul Pianeta è enorme e i modi in cui danneggiano l'ambiente sono molteplici. Lo stesso rapporto della Banca Mondiale rivela anche che l'industria della moda è responsabile del 10% delle emissioni globali di carbonio annue, superando la somma delle emissioni causate dai voli internazionali e dal trasporto marittimo. Se continuerà così, le emissioni di gas serra dell'industria della moda aumenteranno di oltre il 50% entro il 2030. Qualcosa deve cambiare. Fortunatamente sia i consumatori sia l'industria del retail sono pronti ad affrontare questa sfida.

Fattori che guidano il cambiamento

Non sono solo le preoccupazioni ambientali a creare le condizioni per il cambiamento. Problemi legati alla catena di approvvigionamento, all'aumento dell'inflazione e alla carenza di personale qualificato stanno aumentando i costi nel settore, mentre i clienti stanno diventando sempre più sensibili ai prezzi. In questo contesto, notiamo anche che le celebrità indossano con orgoglio capi d'abbigliamento vintage, contribuendo a eliminare eventuali pregiudizi che potrebbero essere esistiti in passato circa l'indossare abiti usati. In effetti oggigiorno gli articoli sono molto più spesso descritti come "pre-loved" piuttosto che "second-hand". Anche in Italia il mercato dell’usato è sempre più in crescita: si stima un valore di circa 25 miliardi di euro (l’1,3% del PIL), stando ai dati riportati dall’Osservatorio Second hand economy condotto da Bva Doxa per Subito. Essendoci le condizioni ideali per un cambiamento significativo, come dovrebbe rispondere il settore del retail? È davvero possibile un modello di business più etico per la moda? E quali strumenti e tecnologie sono necessari per facilitare questi nuovi modi di fare business?

Un cambiamento guidato dalla tecnologia

La tecnologia viene talvolta accusata di essere responsabile dell'ascesa del fast fashion. È grazie alla tecnologia che i rivenditori sono riusciti a ottimizzare le loro catene di approvvigionamento al punto da poter progettare, spedire e vendere una nuova linea di abbigliamento in poche settimane. Ma forse, paradossalmente, è proprio la tecnologia a rendere possibile uno shopping più etico.

Solo qualche anno fa, l'acquisto di abiti usati richiedeva spesso ore o persino giorni di ricerca per trovare un articolo specifico. Tuttavia, oggi, grazie a siti di rivendita online come Vinted, Depop e Vestiaire Collective, il processo è diventato veloce e semplice.

Questi siti stanno sicuramente registrando una crescita impressionante. Vinted, che opera ora in sedici paesi, è diventata la più grande piattaforma europea per la moda di seconda mano. Nei primi nove mesi del 2022 ha registrato un aumento delle vendite del 37%, nonostante le sfavorevoli condizioni economiche che il settore del retail ha dovuto affrontare in quel periodo. In Italia Subito è la seconda piattaforma di e-commerce più utilizzata, contando più di 13 milioni di utenti unici al mese.

I rivenditori tradizionali, sia online sia fisici, stanno naturalmente cercando di adattare i propri modelli di business per capitalizzare questo interesse crescente dei consumatori verso i beni di seconda mano. In Francia, Carrefour ha espanso la sua presenza online per consentire la rivendita di articoli usati dai consumatori stessi. Ikea ha introdotto una sezione dedicata ai prodotti di seconda mano, mentre il marchio di lusso Mulberry offre borse ricondizionate tramite Vestiaire Collective. Un cambiamento significativo è in atto e i rivenditori devono essere preparati per assicurarsi che questa trasformazione sia un successo.

Un catalizzatore per la trasformazione

Dal punto di vista delle risorse umane, modificare un modello di business per includere articoli "pre-loved" richiede una riflessione accurata. Per vendere articoli di seconda mano sono necessarie competenze diverse da quelle necessarie per vendere nuovi articoli, ad esempio. Inoltre, assicurarsi che gli articoli siano posizionati correttamente in un negozio o in un magazzino nelle condizioni giuste, nel posto giusto e al prezzo giusto, richiederà altrettanto un insieme di competenze diverso da quello richiesto in una tradizionale catena di approvvigionamento al dettaglio. In linea con queste differenze, le descrizioni delle posizioni lavorative potrebbero dover essere ripensate e probabilmente sarà necessario modificare i pacchetti retributivi.

Sarà probabilmente necessaria una formazione sia per il nuovo personale sia per quello esistente al fine di garantire che i clienti possano ancora fare acquisti con fiducia e sentirsi inclini ad abbracciare il cambiamento, piuttosto che diffidarne. Questa formazione sarà un processo continuo, poiché le conoscenze acquisite dai nuovi modelli di business verranno incorporati nei manuali di formazione e nelle descrizioni delle mansioni.

Quando si tratta di bilanci e previsioni estremamente importanti, nulla si può presumere o può essere dato per scontato. Con i nuovi modelli di retail emergenti, per definizione, non esistono dati preesistenti che possano aiutare a orientare la direzione strategica dell'azienda. Pertanto, le informazioni in tempo reale su aree come le catene di approvvigionamento e i volumi di vendita diventeranno fondamentali per aiutare un rivenditore a formulare previsioni di mercato solide sia a breve sia a lungo termine.

Infine i rivenditori devono iniziare a pensare in modo più olistico a tutto il loro inventario (non solo agli articoli "pre-loved") se vogliono allinearsi con successo a questi modelli di business rinnovati. Alcuni rivenditori stanno già iniziando a incoraggiare i propri clienti a riciclare merci attraverso i propri negozi, mentre altri potrebbero anche considerare la possibilità di includere il riciclo, la riparazione o l'upcycling nella propria offerta.

Prepararsi per il futuro

Se i rivenditori stanno semplicemente testando il terreno, elaborando nuove strategie o cercando di apparire rilevanti, è oggetto di dibattito, ma è certo che integrare con successo un articolo di seconda mano in un'attività di vendita al dettaglio esistente richieda un diverso insieme di competenze, processi e strumenti. I rivenditori innovativi stanno già sviluppando soluzioni che consentiranno loro di sfruttare appieno i modelli di business circolari, aumentando in modo significativo le loro possibilità di successo in futuro. Ora è il momento che le aziende si adeguino a questa tendenza. Recuperare il ritardo non è sufficiente.

       
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