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Fare la guerra è facile, collaborare è difficile: come cambia l’approccio ESG con l’emergenza Covid
I cambiamenti climatici hanno da sempre annunciato epidemie. Lo strascico dell’emergenza sanitaria sta facendo vedere i primi effetti sull’economia reale. Possiamo aspettarci buone notizie sul lato sociale?
A cura di Marco Bonsanto (nella foto)
Come avete vissuto questa quarantena? Una domanda che trova due risposte in antitesi tra di loro. C’è chi ha provato a sfruttare questa emergenza per mettere ordine nella propria vita da un punto di vista affettivo o di priorità professionali e chi invece ha percepito questo periodo come uno stop inaspettato di un treno che stava marciando tutto sommato bene.
Esiste però una terza risposta, è sotto gli occhi di tutti ma è difficile da decifrare e soprattutto da poter essere la “nuova strada” nel medio termine. Insomma un miglioramento e una positività purtroppo reversibile. Il rallentamento della nostra vita quotidiana ci ha mostrato che il minor inquinamento che ognuno di noi produce (ebbene sì, finiamola di pensare che solo gli altiforni dell’ILVA producano inquinamento) ha fatto risvegliare, in maniera decisa, la natura. Quest’ultima ha velocemente catturato quest’opportunità e si è ripresa gli spazi che le erano stati tolti.
Ma l’aver tolto questi spazi alla natura è stato sempre per una giusta causa? Non esiste una risposta univoca però realisticamente bisogna essere consapevoli che abbiamo sfruttato il termine “progresso” (nella sua accezione sociale ed economica) per vivere al di sopra delle nostre possibilità, non curandoci dello sfruttamento e della salute di persone, luoghi ed ecosistemi.
Non bisogna essere estremisti e dire che si può fare a meno del carbone o del petrolio ma seguire le orme della natura e vivere con la consapevolezza che basta limitarsi ad una vita più semplice sì! La natura vive un ciclo chiuso (il termine circular economy prende esempio da questo ciclo), con pochi elementi vitali e con una crescita rigogliosa che si basa su delle semplici regole, il superfluo viene riutilizzato e condiviso. Noi invece vogliamo tutto e subito, il consumo sfrenato ci fa apparire, l’intera società è coinvolta in attività insostenibili dal punto di vista ambientale. Il capitalismo moderno si basa sull’eccesso, sulla crescita e sull’abbondanza inesauribile anche a costi di dover sottostare a fenomeni estremi perché i prodotti/servizi che chiediamo a lungo andare alterano l’ecosistema dove viviamo (e non intendo i confini di ogni singolo Comune). L’uomo non è in grado di generare risorse naturali (es. acqua).
La relazione tra natura e uomo è assimilabile a quella che esiste tra mercato e Stato. Nei periodi di crisi il mercato e l’uomo invocano l’aiuto (o la sussistenza e l’assistenzialismo) dello Stato e della natura. Questi ultimi invece diventano il principale nemico quando assistiamo a fasi di “relativo” benessere. I sistemi naturali ci fanno capire che senza artifizi la vita può continuare, prosperare e creare spazi vitali per nuove forme di lavori, veri e propri riscatti sociali. La natura ha ripreso i suoi spazi e l’uomo deve fare un passo indietro per capire cosa è stato capace di fare. Dobbiamo essere consci che un nuovo dopoguerra più consapevole è possibile, lasciamo in pace la natura, anzi aiutiamola. Abbiamo tutti compreso che fare la guerra è facile mentre collaborare è difficile.
Pirocene e Antropocene non sono due concetti alternativi, ma complementari. Antropos serve a ricordare che la specie umana sta trasformando profondamente il pianeta. La variante pirica ci avverte che insieme ai combustibili bruciano le foreste. Adesso gli incendi sono un pericolo più facile da riconoscere perché minacciano direttamente l’uomo oltre che interferire con le dinamiche degli ecosistemi. I fuochi del pirocene si possono affrontare solo cambiando il nostro stile di vita e l’economia del pianeta.
Tornando all’emergenza sanitaria che stiamo vivendo da un recente studio dell’Università Bocconi a cura del Prof. Guido Alfani emerge che le principali emergenze del millennio scorso sono tutte partite da segnali legati al cambiamento climatico. D’altronde è da anni che si moltiplicano le evidenze riguardo un mutamento epocale delle temperature. Ogni volta che è successo la storia ci insegna che si sono scatenate epidemie. Il caso della peste del trecento è emblematico, perché l’infezione fu preceduta in Europa da gravissime carestie dovute alle avversità climatiche. La storia si ripeté con la peste del 1600 (oscillazioni climatiche, carestie ed epidemie), si creò una piccola era glaciale con inverni lunghi e rigidi ed estati molto torride. Stesse coincidenze tornate nell’ottocento con il colera, l’India fu colpita da una serie di alluvioni e carestie che misero in fuga la popolazione povera e il contagio si diffuse con le moderne vie di comunicazione (es. treno). Il ciclo climatico del pianeta sta cambiando, con un aumento repentino delle temperature. A conferma di ciò i dati del Copernicus Climate Change Service ci mostrano e confermano alcune preoccupazioni. L'inverno appena trascorso è stato il più caldo di sempre in Europa, con 3,4 gradi in più rispetto alla media del trentennio 1981-2010.
Il benessere creato dal progresso economico non ha solo influenzato negativamente il lato ambientale. L’emergenza dovuta al Coronavirus farà emergere dopo l’emergenza sanitaria ed economica anche quella sociale. Si assiste con molto vigore al trade off tra lavoro e ambiente (es. sfruttamento massivo della falda acquifera) ma emergerà sempre più il trade off tra lavoro e aspetto sociale. Per far crescere l’economia e alimentare sempre più i consumi, vero e proprio simbolo di potere agli occhi della gente, molte lavoratori hanno rinunciato (o sono stati costretti) alla salute e alla sicurezza sul lavoro. Sono tutte tematiche che spesso diamo come ovvietà ma nel mondo reale non è sempre vero. Sfruttamento del lavoro minorile, mancato rispetto dell’orario di lavoro, lavoro in nero e violazioni penali in tema di salute e sicurezza sono ancora ben presenti nel mondo che chiamiamo “developed”, cioè sviluppato.
Le principali istituzioni finanziarie a livello europeo come ad esempio la BEI e non solo hanno già intercettato questo rischio e stiamo assistendo a meno collocamenti green e più obbligazioni “social”. Queste soluzioni, anche se non certificate “sustainable” da enti esterni hanno ricevuto un forte apprezzamento da parte degli investitori che, attraverso una semplice lettura del regolamento dell’emissione, hanno perfettamente capito il vincolo di utilizzo delle risorse per questa crisi emergente di cui nessuno ancora parla, quella sociale!
Anche per il settore del retail i temi legati alla sostenibilità diventano il fulcro di questa nuova fase. Più del 50% degli addetti dell’intero settore ha subito un lockdown nella sua versione inflessibile, vedendo la chiusura della propria attività. La ripartenza non sarà facile, il settore dovrà confrontarsi con consumi delle famiglie che difficilmente nel breve termine arriveranno a quelli pre-crisi. In aggiunta le misure messe in atto dal Governo e dalle Istituzioni sovranazionali arriveranno con un ritardo temporale che spesso non coinciderà con le reali esigenze del settore. In questo clima di incertezza però si riescono ad intercettare alcune piccole accortezze che potrebbero avere una ricaduta positiva nel breve termine. I consumi e gli indirizzi normativi/politici si muovono in una direzione ben precisa, quella della sostenibilità, che diventerà il vero volano per la nuova fidelizzazione della clientela. Termino prendendo in prestito delle parole di Pietro Laureano, solo un nuovo patto tra tutta l'umanità (aspetto sociale), e tra questa e le specie vegetali e animali (sfera ambientale) può garantire la sopravvivenza di quell'oasi nel cosmo che si chiama terra.