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Green Retail  - Welfare e wellness: perché conviene alle aziende e anche alla sanità pubblica
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Innovazione & Ricerca A cura di: Fabrizio Vallari

Welfare e wellness: perché conviene alle aziende e anche alla sanità pubblica

Oltre ai noti vantaggi fiscali, ogni euro speso in interventi di questa natura, secondo il report “Wellness at Work” di PwC e Centro Studi Adapt, si trasforma in ritorni di 2,3 euro per le aziende.

Senza considerare l’effetto benefico complessivo sulla società e la sanità pubblica. Tutti i buoni motivi per cui i responsabili delle HR non dovrebbero trascurare il benessere psico-fisico di chi assumono. A cura di Emanuele Aloise (nella foto), Corporate Solutions Manager di Fitprime.  

In principio fu il GooglePlex, poi vennero Dhl, Hilton, Cisco e in Europa la multinazionale farmaceutica Takeda, seguita dalla biotech MSD e dalla health tech Doctolib: sono i Great places to work del 2022. Cosa hanno in comune questi luoghi di lavoro così ambiti? La risposta è che sono costruiti intorno alle persone. Un tema quanto mai importante oggi, nell’era del lavoro ibrido se non del tutto da remoto, e dopo una pandemia che ha segnato una cesura rispetto a tutto ciò che c’era prima. Oggi attrarre dipendenti o trattenerli richiede anche alle imprese di abbracciare un nuovo paradigma: anche perché la Great Resignation è un fenomeno che proseguirà. Il 40% dei lavoratori dichiara di essere intenzionato a cambiare lavoro nei prossimi mesi, il 53% dei datori rileva già un turnover volontario maggiore rispetto al passato e il 64% si aspetta che il problema si amplifichi (secondo i dati di McKinsey).

E allora che fare? È un interrogativo sempre più pressante per le aziende di qualsiasi dimensione e settore, e non basta più creare uffici a misura degli utenti, con spazi dinamici e flessibili, perché l’ufficio è ormai uno spazio esteso e non necessariamente solo fisico. E uno degli obiettivi prioritari per chi lavora è la tensione al wellbeing, un concetto di benessere che spazia dalla sfera sociale, a quella finanziaria e professionale fino all’aspetto psico-fisico. E dunque il wellbeing diventa una strategia di responsabilità sociale d’impresa, che crea valore. Tuttavia, se i benefici di questo approccio per i dipendenti sono più intelligibili, quelli per l’organizzazione non sono immediatamente percettibili e questa difficoltà di lettura può portare in alcuni casi a sottovalutare politiche strategiche di wellbeing.

Perché alle aziende conviene badare al wellbeing dei dipendenti: tutti i dati alla mano

La pandemia ha messo in luce, qualora ce ne fosse bisogno, come il bene più prezioso sia la salute: stare bene, attraverso esercizio fisico, alimentazione corretta e bilanciata e sane abitudini quotidiane è la via maestra per perseguire il benessere fisico, che porta con sé anche quello mentale. L’Oms definisce il benessere mentale come uno stato nel quale l’individuo “è in grado di sfruttare le sue capacità; di far fronte al normale stress quotidiano; di svolgere la propria attività lavorativa in maniera produttiva; ed è in grado di fornire un contributo alla propria comunità”.

In un sondaggio che Ipsos ha condotto per il World Economic Forum in 30 Paesi all’indomani della pandemia risultava evidente come per almeno la metà della popolazione fosse aumentato il livello generale di stress e preoccupazione. E nella stessa fonte viene citato uno studio condotto con l’Università di Sidney, in cui si stima che il costo della perdita di produttività legato all’aumento dello stress tra il 2020 e il 2025 sarà di 114 miliardi di dollari. Non solo. Il World Economic Forum ha stimato che, tra il 2011 e il 2030, si registrerà a livello globale una perdita cumulata di PIL di 47 mila miliardi dollari a causa di malattie croniche, connessa alla spesa per prestazioni sanitarie e previdenza sociale, ridotta produttività, assenze da lavoro, disabilità prolungata e riduzione dei redditi per i nuclei familiari interessati. E ancora, un parametro utilizzato in medicina del lavoro è il punteggio Work Ability Index (WAI), in base a cui il 60% di coloro che hanno ottenuto un punteggio WAI scadente all’età di 45-57 anni, percepiva dopo 11 anni una pensione per incapacità lavorativa. Ebbene, i fattori legati al lavoro che incidono negativamente sull’indice sono la scarsità di tempi di riposo e tempi dedicati all’attività fisica, l’esistenza di problemi all’apparato muscolo-scheletrico, l’età anziana, l’obesità, il lavoro altamente impegnativo o stressante, la mancanza di sufficiente autonomia, l’ambiente lavorativo caratterizzato da staticità e sedentarietà o, viceversa, da eccessivo sforzo fisico. Al contempo, l’indice di capacità lavorativa è associato a caratteristiche individuali dei soggetti, legate allo stile di vita e alle singole condizioni di salute.

Insomma, i numeri dimostrano che alle imprese conviene investire sulla salute e sul benessere dei propri dipendenti non solo per attrarre i talenti, ma anche perché dei dipendenti più sani e felici sono anche dei migliori lavoratori.

I vantaggi del wellbeing per le imprese (dalla fiscalità all’aumento di produttività)

Le misure di welfare in cui rientrano quelle più specifiche che mirano al wellbeing generano per le imprese diversi vantaggi:

- Il primo e più noto alle stesse aziende è di tipo fiscale. Il welfare è di fatto una forma di retribuzione detassata per l’azienda, che incide sul potere di acquisto del dipendente. La deducibilità sugli importi erogati sotto forma di welfare è del 100% entro la soglia fissata per i fringe benefit (3mila euro nel 2022). La deducibilità è integrale anche per tutti i consumi che hanno le finalità riportate nell’art. 100 TUIR (viaggi, palestre, abbonamenti a teatri e cinema, istruzione) in presenza di un accordo o regolamento aziendale. Anche per il dipendente gli importi sono detassati: ovvero non entrano nel reddito per cui non vi pagherà né Irpef, né contributi.

- Oltre al trattamento fiscale di favore, gli interventi di wellness aziendale sono per le organizzazioni generatori di ritorni sull’investimento (ROI). Lo sostiene “Wellness at Work”, studio sviluppato grazie a una collaborazione tra PwC e il Centro Studi ADAPT (Associazione per gli Studi Internazionali e Comparati sul Diritto del Lavoro e sulle Relazioni Industriali). La ricerca stima che per ogni dollaro speso nella implementazione di una azione di wellbeing si assiste in media a un beneficio di 2,30 dollari per l’organizzazione. Tali benefici derivano dall’aumento della produttività, ottenibile attraverso la riduzione dell’assenteismo, ma anche del dannoso presenteismo (con cui si indica lo stare in ufficio anche quando non si è in piena salute); da un miglioramento della capacità di attrazione e fidelizzazione dei dipendenti e quindi, in ultima analisi, dalla realizzazione di un vantaggio competitivo e strategico.

- Secondo l’Osservatorio HR Innovation Practice del Polimi, la capacità delle aziende di trattenere le persone è diminuita nel post Covid (37% delle aziende dichiara di essere in difficoltà) così come quella di attrarre talenti sia da territori non limitrofi (39%) sia da territori limitrofi (37%) e diminuisce la quota di lavoratori che si dicono “ingaggiati” nell’azienda (il 64%, il 16% in meno sul 2020). Una delle conseguenze di questi numeri è la maggior propensione a cambiare lavoro. È chiaro che le aziende devono trovare strumenti e strategie per “fidelizzare” il personale e attrarre talenti. E gli strumenti di wellbeing sono tra questi.

I benefici fuori dall’azienda e per tutta la società

Un’attenzione al wellbeing dei dipendenti è quindi un bene per i lavoratori e per le aziende – ma non solo. Sappiamo che la popolazione italiana sta invecchiando, di conseguenza la salute media sta peggiorando e – secondo il 18esimo Rapporto Crea Sanità – le spese private in sanità aumenteranno fino a diventare un disagio per il 5,2% delle famiglie (vale a dire 378.627 nuclei familiari), un fattore di impoverimento per un altro 1,5% e catastrofiche per 610mila nuclei. La popolazione italiana è tra le più vecchie del mondo Occidentale e questo porta naturalmente un maggior tasso di morbilità nella terza e quarta età. Che potrebbe però essere migliorato aumentando la quota di sport in età giovanile e matura. Infatti, l’Eurobarometro su sport e attività fisica indica che in Italia solo il 3% delle persone intervistate dichiara di fare attività sportiva regolarmente, contro il 6% dell’UE. Il 31% pratica sport con una certa regolarità e il 10% dichiara di praticarlo raramente. Non pratica mai un’attività sportiva il 56% della platea italiana rispetto al 45% della platea europea. E se il 48% degli italiani fa sport per migliorare la propria salute, il 40% non lo fa per mancanza di tempo (segue la mancanza di motivazione e interesse). È in questo contesto che il wellness aziendale può andare a vantaggio della comunità, trasformando l’ambiente di lavoro nel luogo strategico e privilegiato per promuovere un processo attivo di cambiamento di abitudini, volto alla riduzione dei fattori di rischio per la salute.

Serve una cultura del wellbeing

Per ottenere tutto questo bisogna attuare una strategia efficace volta al wellbeing aziendale. Ma come si può fare? Le risposte in questo caso non sono univoche. Perché molto dipende dalle risorse a disposizione della singola azienda – che sono diverse nel caso di un colosso o di una pmi. In alcune multinazionali inizia a fare capolino la figura del wellbeing manager, per le piccole imprese italiane servono invece sistemi flessibili e modulari che consentano di acquistare servizi a pacchetto e che mettano in connessione in maniera facile e immediata con l’offerta del territorio. Ma al di là delle modalità di attuazione, va tenuto bene a mente che il “wellness at work”, per dirla con PwC e Adapt “risiede nella qualità della relazione esistente tra le persone e il contesto di lavoro”.

Una relazione in cui l’ambiente di lavoro si configura come un fattore di empowerment che “induca ciascun lavoratore a considerare il proprio benessere psicofisico come una risorsa da tutelare, cambiando gli stili di vita e rendendo più facili le scelte salutari”. Le organizzazioni possono insomma svolgere un ruolo importante in merito al comportamento dei lavoratori rispetto alla loro salute, fornendo risorse per incoraggiare a intraprendere stili di vita salutari.

La strada verso lo sviluppo del settore del wellness in Italia è ancora lunga. Attualmente, infatti, il valore del settore italiano è inferiore a quello di altri Paesi europei: solo 92 miliardi di dollari rispetto ai 223 della Germania, ai 158 del Regno Unito e ai 133 della Francia. Inoltre, il settore del corporate wellness rappresenta solo una piccola parte del totale generato dal wellness a livello globale, pari a 49 miliardi su un totale di 4,4mila miliardi di dollari.

In definitiva, per raggiungere una crescita del settore comparabile con gli altri paesi europei, è fondamentale investire in innovazione e collaborare con partner affidabili. Stiamo infatti vivendo una nuova era che si sta muovendo rapidamente, e le aziende dovranno essere in prima linea per investimenti e come promotori della sensibilizzazione sui temi del wellness. Anche se la strada è ancora lunga, ci troviamo di fronte ad una grande opportunità di crescita.

       
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