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Green Retail  - Carbon Footprint, tra sostenibilità e green marketing
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GR MAGAZINE A cura di: Fabrizio Vallari

Carbon Footprint, tra sostenibilità e green marketing

L’impronta di carbonio è un efficace strumento di comunicazione e di promozione della quantità di gas a effetto serra collegati a prodotti e servizi. E quindi del grado di responsabilità ambientale di un’azienda.

Indicatore ambientale che misura l’impatto delle azioni umane sul clima, la Carbon Footprint (CF) o impronta di carbonio quantifica la massa di gas a effetto serra (Greenhouse Gases - GHG) associati a un prodotto o servizio. Rispetto alla più generale Ecological Footprint (EF) o Global Footprint (GF), cioè impronta ecologica o impronta globale, che comprende anche la Water Footprint (WF), impronta idrica, la CF ha acquisito notevole importanza e popolarità negli ultimi anni, di pari passo con l’aumentata consapevolezza del cambiamento climatico in atto e dei suoi effetti.

Più in specifico, per la norma di riferimento internazionale ISO 14067 del 2013, la CF è “l’ammontare totale di gas a effetto serra emessi direttamente o indirettamente da un’attività, un prodotto, un’azienda o una persona, ed è un indicatore che misura l’impatto che le attività umane hanno sui cambiamenti climatici”. La CF considera tutte le tipologie di gas implicate nei mutamenti climatici e per quantificarla si usa come unità di misura l’anidride carbonica equivalente (CO2eq), cui l’emissioni di tutti i gas sono convertite in base ai parametri scientifici dell’IPCC, l’Intergovernmental Panel on Climate Change, che opera sotto egida ONU. Per calcolare la CF di un prodotto o servizio, espressa in tonnellate di CO2 equivalente, occorre tenere conto dell’intera filiera produttiva a esso relativa secondo un approccio “from cradle to grave” ovvero “dalla culla alla tomba”, cioè più tecnicamente LCA, Life Cycle Assessment o analisi del ciclo di vita.

La certificazione della CF

In analogia alla metodologia LCA, la norma ISO 14067 prevede per il calcolo della CF passaggi che vanno dall’individuazione degli scopi e obiettivi precisi da prefiggersi all’analisi dell’inventario dei GHG in tutte le fasi di vita (produzione, uso, fine vita) d’ogni prodotto/servizio, alla caratterizzazione, convertendo ciascun gas in tonnellate di CO2eq con l’utilizzo di parametri adeguati (Global Warming Potential - GWP), ed infine alla valutazione della CF per il prodotto/servizio interessato. Ciò in base a linee guida (Product Category Rules - PCR), specifiche per le varie categorie di prodotti e servizi, per garantire l’omogeneità e la facile confrontabilità dei risultati ottenuti dalle realtà che intraprendono tale percorso. Percorso, la cui credibilità deve alla fine essere certificata da un organismo terzo indipendente e qualificato, che validi lo studio intrapreso ed eviti ogni critica, che porta dunque a stabilire i valori della CF e quindi alle possibili azioni per azzerarli, mitigarli o compensarli. In quest’ultimo caso tramite l’acquisizione di titoli di risparmio di CO2 (Verified Emission Reduction - VER) o la partecipazione a progetti che diano diritto all’uso di crediti VER, con cui cioè si dimostra di compensare l’emissioni di CGH attraverso iniziative concrete, tracciabili e misurabili in base a standard internazionali.

Un indice di competitività aziendale

Il calcolo della CF perciò può e deve rappresentare per ogni realtà uno strumento di conoscenza delle performance ambientali e della sostenibilità, quindi un’opportunità per costruire o migliorare la sua “green reputation”, attraverso azioni di comunicazione e promozione (“green communication” e “green marketing”). Calcolare la CF di un prodotto o servizio, e operare per ridurre o compensare tale valore, si traduce dunque in un indice di competitività degli stessi, attraverso un parametro veritiero ed oggettivo, ufficialmente certificabile e facilmente apprezzabile dal mercato e dal target di riferimento, oltre che ovviamente un modo per diminuire i propri impatti ambientali e aumentare l’efficienza, con positive ricadute economiche e gestionali.

Le esperienze nella GDO

Fra i protagonisti della distribuzione moderna MD, che con l’iniziativa “La Buona Spesa non solo a parole”, si è posta l’obiettivo di neutralizzare l’emissioni di CO2 di 25 camion della sua flotta, tramite l’adozione di più di 100 ettari di pioppeto fra le province di Mantova, Rovigo e Cremona, in grado di bilanciare 1.800 tonnellate di anidride carbonica emesse ogni anno. Iniziativa che si prevede di estendere negli anni venturi, così da controbilanciare l’emissioni dell’intera flotta aziendale. Dal canto suo Lidl, nel bilancio delle politiche per lo sviluppo sostenibile, ha dichiarato tra l’altro di soddisfare l’intero fabbisogno di energia elettrica attraverso fonti rinnovabili (con l’abbattimento di 620 mila tonnellate di emissioni negli ultimi 6 anni), l’alimentazione della flotta aziendale a gas naturale e la riduzione del consumo di suolo.

Conad sì è basata s’una strategia per abbattere l’emissioni legate al trasporto dei prodotti a proprio marchio, tramite il rinnovo della flotta degli automezzi, l’efficientamento energetico dei magazzini e dei punti vendita e l’ottimizzazione dei processi distributivi, nonché la misurazione dell’impronta ecologica della supply chain, con mappatura dell’emissioni delle attività di trasporto e logistica di hub e centri distributivi. Fra le esperienze estere vicine a noi, da segnalare l’impegno elvetico di Coop, in collaborazione col WWF Svizzera, per dimezzare entro il 2023 (sul valore 2008) l’emissioni aziendali di CO2 (a oggi ridotte del 33%), riducendo o evitando altresì dove possibile l’emissioni relative ai trasporti aerei di prodotti. Sempre rispetto al valore 2008, a fine 2019 tali emissioni si sono già ridotte del 13% e quelle rimanenti sono state compensate con progetti realizzati assieme al sodalizio ambientale.

Aziende CF virtuose

Variegate le azioni di molti produttori, come Mukki - Centrale del Latte della Toscana (Gruppo Newlat Food), che entro l’estate dovrebbe concludere il processo d’identificazione dell’impronta ecologica (con la consulenza di AzzeroCO2, società fondata da Legambiente e Kyoto Club), per migliorare le performance ambientali e ridurre ove possibile l’emissioni di CO2eq del processo produttivo. Chi ha già ottenuto dal 2018 la certificazione della CF, prima fra le realtà avicole italiane, è Valverde, cooperativa di soci allevatori piemontesi, i cui polli sono particolarmente sostenibili, in virtù di trasporti minimizzati e lavorazioni che usano l’energia rinnovabile, col risparmio annuale di 400 tonnellate di CO2, pari al lavoro di 14 mila alberi.

“Buono per Te, Buono per il Pianeta” è la missione del Gruppo Barilla che ha imboccato da anni il percorso di sostenibilità lungo tutta la filiera. Ciò con l’obiettivo di diminuire sia la WF che la CF, riducendo del 23% i consumi d’acqua e del 29% l’emissioni di gas serra per tonnellata di prodotto. Negli stabilimenti Mulino Bianco, dal 2008 al 2016 è già diminuito del 47% l’utilizzo dell’acqua e del 54% quello dei GHG. Passa per l’adesione alla CEO Carbon Neutral Challenge l’operato di Lavazza nella riduzione dei gas serra, avviato da tempo con la sottoscrizione dell’Agenda 2030 ONU. L’azienda sostiene gli obiettivi della Challenge, che si propone di dare priorità alla massima riduzione di emissioni di gas serra e di compensarle, come misura finale. Mutti si è avvalsa della collaborazione del WWF Italia e del CMCC (Centro Euro Mediterraneo sui Cambiamenti Climatici), al fine di monitorare e ridurre già dal 2015 l’impronta idrica (del 4,6%) e l’impronta di carbonio della filiera, diminuendola del 27% per unità di prodotto sul valore 2009, evitando così di emettere, nel periodo 2010-2015, 20mila tonnellate di CO2. Together Towards Zero (Insieme Verso lo Zero) è la visione di Carlsberg Group, anch’essa lavorando col WWF, con l’ambizione cioè di raggiungere la Zero Carbon Footprint e la Zero Water Waste. Entro il 2022 mira a ridurre del 50% l’emissioni di CO2 dei birrifici e del 15% l’emissioni del ciclo di vita dei prodotti, per arrivare nel 2030 a 0% d’emissioni nei birrifici e a -30% nel ciclo di vita.

Nel packaging spicca ILPA Group, che con le sue aziende (in primis ILIP) è stata dal 2012 la prima realtà in Europa a controllare e gestire completamente il processo (closed loop) del riciclo dell’r-PET: una catena virtuosa che riduce significativamente la CF del processo di produzione. E ciò ha portato ogni anno a 30mila tonnellate di bottiglie di PET post-consumo nuovamente immesse nel ciclo produttivo e 75 mila tonnate di CO2 in meno nell’ambiente, grazie alla sostituzione del PET vergine. CF più leggera anche per Verallia, fra i prim’attori del packaging alimentare in vetro, che con il progetto Ecovà, innovativa linea di contenitori in vetro alleggerito (con un -10-30% di peso rispetto a bottiglie standard a parità di performance meccanica) che fa inoltre largo uso di vetro riciclato, consente sia di ottimizzare logistica e trasporti che di risparmiare annualmente 20 mila tonnellate di materie prime.

 

Green Retail  - Carbon Footprint, tra sostenibilità e green marketing La pataticoltura a “Residuo Zero” di Romagnoli F.lli. L’innovazione di Romagnoli F.lli Spa guarda alla ricerca varietale con la volontà di promuovere la diffusione di una pataticoltura sostenibile. Da qui la nuova generazione di patate naturalmente tolleranti alla Peronospora ed una linea tecnica di difesa colturale da cui sono nate le Patate èVita Residuo Zero, certificate da Check Fruit, con residuo di prodotti chimici al di sotto dei limiti di determinazione analitica (0,01 ppm), tracciate in ogni fase, 100% italiane, buone e sostenibili. L’auspicio dell’azienda è che il “Residuo Zero” possa affermarsi come modello produttivo del futuro e che tutti i soggetti della filiera agroalimentare - dagli agricoltori alla GDO - possano contribuire a tale affermazione. Un modello in cui tutela del consumatore, sostenibilità ambientale ed equa distribuzione del valore aggiunto siano prioritari.

 

Green Retail  - Carbon Footprint, tra sostenibilità e green marketing Sostenibilità Melinda: tra efficienza e risparmio energetico. Le “Celle Ipogee” sono l’innovativo sistema di conservazione sotterranea che Melinda ha messo a punto nelle grotte scavate nella roccia Dolomia, dentro la Miniera di Rio Maggiore. Questi spazi costituiscono oggi il primo impianto al mondo per la frigo-conservazione in ambiente ipogeo e in condizioni di atmosfera controllata, tanto da essere state presentate anche al Parlamento Europeo. Il sistema di stoccaggio della frutta è composto da3 lotti per un totale di 34 celle a 300 metri di profondità, che consentono di stivare 30.000 tonnellate di mele, con un risparmio energetico di circa 1,9 GW/h rispetto alla conservazione epigea, corrispondente all’energia elettrica utilizzata da 2.000 persone in un anno. La vocazione sostenibile di Melinda si esprime attraverso altre attività rispettose dell’ambiente. Nei campi l’irrigazione viene effettuata attraverso impianti di micro-irrigazione, una tecnica che permette di ridurre del 30% il consumo di risorse idriche. In tutti gli stabilimenti è stato implementato un piano di miglioramento dell’efficienza energetica, con un investimento di circa 800.000 euro per la sostituzione dei sistemi di illuminazione a neon. Un intervento che ha portato un risparmio di circa 1,2 milioni di kwh/anno. Anche tutti gli impianti frigo sono stati migliorati con l’adozione del sistema di condensazione variabile che consente la riduzione di circa 1 milione di kwh/anno. Infine, il Consorzio utilizza energia 100% da fonti rinnovabili e autoproduce circa 6 milioni di kwh di energia da fotovoltaico all’anno grazie ad impianti installati su tutti i tetti delle Cooperative del Consorzio.

Brazzale raggiunge il traguardo Carbon Neutral. La “Neutralità di carbonio” è il coronamento della ventennale rivoluzione verde iniziata dal gruppo Brazzale nel 2000: una radicale innovazione nei processi produttivi che ha portato alla creazione di filiere ecosostenibili, che si bassano sul principio di “fare le cose dove riescono meglio”. In Republica Ceca è stata creata la “Filiera Ecosostenibile Gran Moravia”, un sistema di oltre 80 fattorie su 90.000 ha. per la produzione di latte e formaggi di alta qualità. In Brasile, è stato sviluppato il rivoluzionario sistema di produzione di carne su pascolo riforestato “Ouro Branco Silvipastoril”. In particolare, in merito all’azione di sequestro della CO2, oltre ai costanti investimenti impiantistici in riduzione delle emissioni, nel gruppo il modello Silvipastoril gioca un ruolo decisivo con la riforestazione dei pascoli. La cattura del carbonio viene infatti realizzata attraverso il più naturale dei processi, quello della fotosintesi, ad opera di macchine meravigliose quali sono gli alberi ed i vegetali in generale.

Adottato nella azienda del gruppo “Agropecuaria Ouro Branco” nel Mato Grosso do Sul, in Brasile, il sistema Silvipastoril prevede la riforestazione dei pascoli e la loro trasformazione in giganteschi polmoni che catturano nel legno la Co2, grazie a 1,5 milioni di alberi di eucaliptus, a regime pari a circa 300 per capo, piantati in filari, che realizzano foreste miste a radure. La Co2 non è un veleno ma è un vero e proprio alimento per gli alberi, di cui si cibano trasformando questo in ossigeno e massa vegetale e legnosa, evitando la dispersione del carbonio nell’atmosfera.

 

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La riforestazione delle aree a pascolo permette il conseguimento di ulteriori traguardi: Incremento del benessere animale, perché si ricrea la condizione naturale di bosco misto a radura - Aumento formidabile della biodiversità - Incremento della produzione di foraggio e di carne bovina per unità di superficie - Eliminazione delle concimazioni - Riduzione del fabbisogno di superfici: a parità di produzioni consente di lasciare a foresta selvatica superfici maggiori.

 

 

 

Nel dettaglio, ecco le emissioni dei nove stabilimenti del Gruppo Brazzale secondo gli ultimi dati disponibili: Emissioni totali: 45.431 ton Co2 eq/anno a. 14.139 di tipo biogenico b. 31.292 di tipo fossile - Assorbimenti totali: 54.110 ton Co2 eq/anno di origine biogenica. Il gruppo Brazzale, dunque, riesce ad essere addirittura “carbon positivo”, in quanto vanta una “cattura” di CO2 superiore per oltre 8.600 ton Co2 eq/anno a quanto emesso. L’inventario Ghg (gas ad effetto serra, tra cui la Co2 ) è stato verificato da Dnv Gl.

 

       
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