Domenico Canzoniero
Visite: 180
Domenico Canzoniero
Visite: 180

- Information
- Human&Green Retail Forum 2025
Intervista a Mario Gasbarrino "Il retail può orientare le scelte, ma oggi deve sopravvivere"
L'AD di Decò Italia analizza possibilità e limiti della grande distribuzione nel guidare i cittadini verso una spesa più sostenibile e salutare.
Abbiamo dialogato con Mario Gasbarrino, amministratore delegato di Decò Italia, per esplorare le reali possibilità di trasformazione del settore distributivo. Secondo l'approccio Human&Green che guida la nostra linea editoriale, il retail può diventare davvero sostenibile solo riscoprendo la sua vocazione originaria - orientare le scelte dei consumatori - e mettendola al servizio del benessere delle persone.
Ma nel contesto economico attuale, con i bilanci sotto pressione e la competizione sempre più serrata, la distribuzione riuscirà davvero ad aiutare le persone a fare una spesa a minore impronta ambientale e maggiore equilibrio nutrizionale? Quali sono i segnali positivi e quali gli ostacoli che frenano questo cambiamento?
Da queste domande è nata una conversazione in cui Gasbarrino, con il suo consueto pragmatismo analitico, ha tracciato un quadro lucido e senza sconti delle opportunità e dei limiti dello scenario attuale.
Dottr Gasbarrino il vero mestiere del retailer è quello di indirizzare gli acquisti dei consumatori?
Tecnicamente sì, sarebbe proprio questo il nostro mestiere.
Il fatto è che da 30-40 anni continuiamo a fare sempre gli stessi volantini sapendo che non funzionano, eppure li facciamo ancora. Questo dimostra che già orientiamo le scelte, ma in modo inefficace. La capacità di indirizzare verso alcune categorie di prodotto piuttosto che altre esiste, il problema è come la usiamo.
Secondo lei, su cosa dovrebbe concentrarsi questo orientamento?
Invece di focalizzarsi sui singoli prodotti con "green claim" - che oggi rappresentano l'84% della spesa degli italiani ma hanno un impatto ambientale effettivo irrilevante - bisognerebbe orientare verso intere categorie naturalmente più sostenibili. La dieta mediterranea, ad esempio: più frutta, verdura, cereali integrali, legumi e meno cibi ultra-processati. Non serve cambiare l'assortimento, c'è già tutto. Bisogna spingere su alcune cose e far capire che mangiare così conviene sia al portafoglio che alla salute.
Perché questo approccio sarebbe più efficace dei green claim attuali?
Perché lavora sul 95% dell'impatto di un retailer, che deriva dai prodotti venduti, non dal punto vendita. Con il Covid abbiamo visto che riducendo i consumi abbiamo ridotto del 7,5% le emissioni (una cosa che faccio fatica a capire peché non la vedo la CO2...) ma il costo è stato enorme perché non era programmato. Se invece aiuti le persone a scegliere consapevolmente una dieta che è insieme più sana, più economica e meno impattante, fai vera innovazione.
Cosa potrebbe spingere il retail in questa direzione?
Dal 2026 scatta l'obbligo di rendicontazione CSRD per tutte le aziende sopra i 50 milioni di fatturato - quindi tutto il retail. Dovranno misurare l'impatto sull'ambiente e sulle persone di tutto quello che vendono. Questo, unito al fatto che una cattiva dieta è la prima causa di morte nei paesi ricchi, rende l'orientamento verso una dieta tipo quella mediterranea non solo opportuno ma necessario.
Eppure sembra scettico sulla possibilità che questo avvenga davvero. Perché?
Perché il retail italiano oggi è impegnato in una guerra di sopravvivenza. Negli ultimi quattro anni - due di Covid e due di inflazione - si sono anestetizzati problemi strutturali che ora vengono al pettine. I prezzi sono aumentati del 25% e non sono più scesi. I bilanci cominciano a mostrare le prime crepe.
Quali sono questi problemi strutturali?
Principalmente tre. Primo: i margini. I supermercati hanno EBITDA medio dell'1,5-2%, i discount del 4-5%. Molte aziende storiche hanno dimezzato gli utili. Secondo: la competizione. I discount stanno vincendo anche sull'ortofrutta, offrendo la stessa qualità a prezzi più bassi. Terzo: siamo troppo frammentati, sprechiamo energia aprendo sempre più punti vendita mentre la gente mangia sempre meno.
In questo scenario, come può il retail investire in sostenibilità?
Con grande difficoltà. La parola d'ordine oggi è "sopravvivere". Quando i bilanci sono in difficoltà, questi ragionamenti diventano greenwashing. È chiaro che qualcuno se ne può approfittare, ma diventa una nicchia. Il cliente è disposto alla sostenibilità, basta che non la paghi lui.
Ha mai provato iniziative in questa direzione?
Sì, avevamo lanciato progetti per ridurre la plastica: acqua minerale senza fardello, contenitori in plastica riciclata. Risparmiavamo il 15% di plastica solo togliendo il fardello esterno e mettendo due regette. Non ci ha copiato quasi nessuno. Nel frattempo il consumo di acqua minerale - che rappresenta il 30% dei volumi movimentati di un supermercato - continua a crescere.
Perché queste iniziative non si diffondono?
Perché manca un'azione di sistema. Non può essere il singolo a fare il fautore del green e poi fallire. Servirebbero imposizioni a livello di comparto, come hanno tentato con le auto elettriche. Da noi invece ognuno mette qualcosa, ma spontaneamente non riesco a immaginare che possa funzionare su larga scala.
Anche l'innovazione tecnologica sembra bloccata...
Nel 2015 un'azienda importante lanciò "il supermercato del futuro" destinato al 2050. Sono passati 10 anni e di quelle applicazioni non ne ho trovata neanche una. Mentre 10 anni fa le aziende top si chiamavano Carrefour, Tesco, Casino, oggi si chiamano Lidl, Aldi, Mercadona, Trader Joe. E se li vai a vedere, di innovazione tecnologica sembrano supermercati degli anni '80, eppure hanno successo.
Cosa funziona allora?
L'innovazione è molto più semplice di quello che pensiamo. Non serve la tecnologia avanzata. Mercadona fa 36 miliardi di fatturato, cresce da 30 anni, ma ogni volta che porto qualcuno a vederlo rimane deluso. Eppure funziona. Forse l'innovazione vera è togliere il superfluo, non aggiungere complessità.
Però i discount come Lidl stanno già muovendosi sulla sostenibilità...
Lidl ha annunciato di voler far mangiare il 20% in più di frutta ai propri clienti. Ma è un'operazione facile per loro: fino all'altro ieri vendevano solo scatolette, quindi se investono sulla frutta è normale che crescano. Lidl ha il vantaggio di chi pesa 60 kg e vuole diventare mister muscolo: deve solo mettere i muscoli. Noi italiani siamo a 90 kg: dobbiamo prima togliere, ed è più difficile.
La marca del distributore può essere un laboratorio per questi cambiamenti?
Sì, ma con dei limiti. Noi lavoriamo con due marche: Decò mainstream per la convenienza e Gastronauta premium per la qualità. Più riesco a far crescere Gastronauta, più sposto i clienti verso la qualità. Ma è un processo lento. Se in Italia la marca privata ha una quota del 21%, quella premium non fa più del 3-4%. Il resto è prodotto omologato, uguale agli altri.
Come si esce da questa situazione?
Il supermercato deve trovare una sua ricetta diversa dal discount. Deve lavorare sul freschissimo, sfruttare il vantaggio della distribuzione micro-territoriale. Se devo fare la guerra sul pacchetto di pasta Barilla, il discount partirà sempre avvantaggiato. Ma se riesco a differenziarmi sulla qualità del fresco, sulla competenza degli addetti, allora ho una chance.
Ma questo richiede investimenti che oggi sembrano difficili...
Esatto. Servono competenza degli addetti e probabilmente anche partecipazione ai risultati. Non posso trattare la frutta come una scatoletta. Ma se non faccio questo salto, ho già perso. L'alternativa è continuare a bruciare ricchezza facendo promozioni sempre più aggressive.
In sintesi, il retail può orientare verso scelte più sostenibili?
La capacità tecnica c'è, ma oggi siamo impegnati in guerre di sopravvivenza. Probabilmente dovremmo spostare l'attenzione dal "green" generico alla qualità del cibo. Far capire che noi siamo quello che mangiamo. Ma deve diventare un movimento culturale più ampio, non può partire solo da noi. E soprattutto serve un'azione di sistema che al momento non vedo.