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Green Retail  - 5 giugno: Quando la Distribuzione Sostenibile è più di un Green Claim
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Human&Green Retail Forum 2025 A cura di: Domenico Canzoniero

5 giugno: Quando la Distribuzione Sostenibile è più di un Green Claim

Nonostante l'abbondanza di green claim, il modello basato sulla scelta individuale del consumatore ha fallito. La vera transizione umano-ecologica richiede che sia la Distribuzione Moderna a farsi carico della responsabilità, riprogettando il sistema per rendere le scelte sostenibili e salutari la norma, non l'eccezione.

 

Il 5 giugno 2025 segna il 53° anniversario della Giornata Mondiale dell'Ambiente. In oltre mezzo secolo, questa e molte altre “giornate mondiali” – dell’acqua, della terra, degli oceani – hanno cercato di sensibilizzare l’opinione pubblica, moltiplicando call to action e messaggi che orientano, più o meno esplicitamente, le scelte dei cittadini verso un presunto “consumo responsabile”. A questa narrativa si è affiancata una selva di green claim stampati su confezioni, scaffali e pubblicità, che suggeriscono cosa comprare per “salvare il pianeta”.

Il risultato? Oggi oltre l’84% della spesa degli italiani riguarda prodotti con almeno un’etichetta “verde”. Eppure, sei dei nove confini planetari sono già stati superati in modo critico. Il green marketing ha vinto la battaglia della percezione, ma ha fallito su quella dell’impatto.
Al di là delle critiche al green marketing e al greenwashing, a nostro parere è forse giunto il momento di riconoscere che il paradigma delle scelte individuali sollecitate dalle call to action delle giornate mondiali e dal green marketing, per quanto importante, è strutturalmente inadeguato per una transizione ecologica efficace.

Non si tratta di sminuire l'impegno dei cittadini ma di riconoscere che i problemi delle società complesse richiedono strumenti di governance appropriati. Anche - o forse soprattutto - quando andiamo a fare la spesa.
Avremmo bisogno infatti di un sistema distributivo maturo e consapevole del proprio ruolo che ci aiuti a fare una spesa a minore impronta carbonica e a maggior equilibrio nutrizionale, non tanto di qualcuno che ci dice cosa e dove comprare - vedi green claim - o non comprare - come le varie campagne di boicottaggio e consumo consapevole ci invitano a fare.
Perché le scelte avvengono per lo più davanti allo scaffale e se la distribuzione fa bene il suo mestiere è capace di dirigerle, di indirizzarle, lasciando piena libertà ma creando quegli scivoli, quella spintarella gentile (nudge) che statisticamente sappiamo essere decisiva nella composizione del carrello della spesa.

Dalla narrazione del consumo responsabile all’azione sistemica

La buona notizia è che esiste un modo concreto per incidere sulla composizione reale del carrello della spesa, un modo per facilitare scelte alimentari a minore impronta ambientale e maggiore equilibrio nutrizionale. Per farlo dobbiamo attivare in modo strategico gli strumenti del retail – logistica, pricing, category management, visual merchandising – per orientare i consumatori verso le categorie di prodotti intrinsecamente più sostenibili e salutari: frutta e verdura fresche, legumi, cereali integrali, alimenti minimamente trasformati. Con un consumo moderato di carne e derivati. In sintesi, andare verso i principi della Dieta Mediterranea o quelli della Planetary Health Diet a seconda delle latitudini.

Non si tratta quindi di promuovere un altro prodotto “green”, ma di riequilibrare l’intero ecosistema distributivo per favorire scelte che siano scientificamente fondate, strutturalmente accessibili e realmente trasformative.

Perché il retail deve cambiare: la responsabilità di chi offre, non solo di chi sceglie

Finora, la responsabilità della transizione è stata posta quasi esclusivamente nelle mani del consumatore. Ma è un modello che ha mostrato tutti i suoi limiti: non possiamo chiedere scelte consapevoli a chi non ha accesso a opzioni sostenibili, comprensibili o economicamente e culturalmente praticabili.

È il momento di un cambio di paradigma, anche a livello comunicativo: iniziare a rendere conto dell’impatto ambientale e sociale in modo trasparente e sistemico, non solo in relazione alle proprie attività dirette, ma anche rispetto all’impatto generato dal ciclo di vita dei prodotti che i retailer mettono in assortimento.

Questo significa, anche, spostarsi da una rendicontazione di sostenibilità autoreferenziale a una rendicontazione di sistema, fondata sul principio della doppia materialità: da un lato, l’impatto del cambiamento climatico e sociale sul business; dall’altro – e soprattutto – l’impatto del business su persone, salute pubblica, ecosistemi e risorse naturali.

È una sfida ambiziosa, ma inevitabile. Come abbiamo già scritto, salute e sostenibilità devono condividere lo stesso carrello, e i retailer hanno il potere – e la responsabilità – di costruire le condizioni per renderlo possibile. Non si tratta solo di etica, ma di competitività futura, di licenza sociale ad operare, di coerenza tra scopo e modello di business.

La trasformazione passa da una distribuzione che si fa agente attivo di benessere collettivo, orientando sistematicamente le scelte d’acquisto verso assortimenti a basso impatto e alto valore nutrizionale – misurati, certificati, comunicati con trasparenza. 

Il 5 giugno potrebbe allora non essere solo l’ennesima giornata di appelli simbolici, ma diventare il momento in cui abbiamo smesso di chiedere ai cittadini di salvare il mondo con la spesa e abbiamo iniziato, come sistema distributivo e come sistema paese, a creare le condizioni affinché possano davvero farlo.

       
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