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Green Retail  - Dalla tradizione al sistema: come rendere operativo il patrimonio Unesco Dieta Mediterranea
Enrico Giovannini, Direttore Scientifico ASviS, coordinatore scientifico Human&Green Retail Experience
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Human&Green Retail Forum 2025 A cura di: Domenico Canzoniero

Dalla tradizione al sistema: come rendere operativo il patrimonio Unesco Dieta Mediterranea

Intervista a Enrico Giovannini, direttore scientifico ASviS

Quando Enrico Giovannini parla di sostenibilità, non usa il linguaggio delle buone intenzioni. Usa quello della Costituzione, dei dati scientifici e del difficile bilanciamento tra interessi legittimi. Economista, ex ministro, ex presidente dell'Istat, oggi direttore scientifico di ASviS e coordinatore scientifico del progetto Human&Green Retail Experience, Giovannini rappresenta quella sintesi rara tra rigore accademico e pragmatismo operativo che serve per trasformare principi in sistemi concreti.
Ed è proprio l’applicazione di principi e sistemi che andiamo ad esplorare in questa intervista in cui Giovannini ci guida alla scoperta del progetto Human&Green Retail Experience e del suo contesto scientifico e normativo. 


LA RIFORMA COSTITUZIONALE: UN PRINCIPIO CHE RICHIEDE ATTUAZIONE

Professor Giovannini, partiamo dalla riforma costituzionale del 2022. Lei è stato tra i promotori di questa modifica. Che natura ha questo cambiamento: è un vincolo giuridico operativo o un principio programmatico?

La riforma richiede un profondo cambiamento nei comportamenti privati e nelle politiche pubbliche. Modificare, per la prima volta nella storia repubblicana, i principi fondamentali della Costituzione è stato un atto forte e simbolico, denso di conseguenze culturali oltre che giuridiche. L’articolo 9 impone alla Repubblica di tutelare l’ambiente, gli ecosistemi e la biodiversità “anche nell’interesse delle future generazioni, mentre l'articolo 41 ora stabilisce che l'iniziativa economica privata "non può svolgersi" in modo da recare danno alla salute e all'ambiente: quel "non può" è un imperativo costituzionale, non un suggerimento.

Ma attenzione: cambiare la Costituzione non basta. Servono azioni, collettive e individuali, coerenti con quei principi e quelle norme. Servono leggi e regole per tutelare pienamente nella pratica quei principi. Il compito di realizzare il difficile bilanciamento tra interessi diversi spetta al Parlamento e alla magistratura costituzionale.

Quindi la riforma da sola non crea automaticamente nuovi obblighi immediati per le imprese?

Non nel senso di obblighi dettagliati e direttamente azionabili. Ma già stiamo vedendo le conseguenze concrete. Si pensi alla storica sentenza della Corte costituzionale che ha dichiarato illegittimo il Decreto Priolo, proprio citando gli articoli 9 e 41 della Costituzione. Ora ben presto ogni nuova legge dovrà essere accompagnata da una sua valutazione d'impatto intergenerazionale, se verrà approvato definitivamente dalla Camera dei deputati il relativo disegno di legge già approvato in Senato. Questo significherebbe tutelare concretamente anche gli interessi delle future generazioni.

Cambia qualcosa per chi fa impresa oggi?

Cambia il contesto interpretativo generale. Prima, ambiente e salute erano valori impliciti o derivati da altre norme. Ora sono nella Carta fondamentale, con pari dignità rispetto alla libertà d'impresa. Quando si legifera, quando si valutano politiche pubbliche, quando le imprese definiscono strategie di lungo periodo e decidono quali processi produttivi intendono attuare, c'è un riferimento costituzionale esplicito che prima non c'era. E questo tenderà a tradursi – attraverso leggi, giurisprudenza, politiche pubbliche – in aspettative crescenti verso comportamenti responsabili.

«La riforma crea un imperativo costituzionale che richiede attuazione legislativa e comportamenti individuali coerenti con i nuovi principi. Non è solo un’aspirazione etica »

 

LA CONVERGENZA TRA COSTITUZIONE, CLIMA E SALUTE

Il rapporto dell’Organizzazione Mondiale della Saluta a cui state lavorando documenta una convergenza drammatica tra crisi climatica e crisi sanitaria. Come si collega questo alle scelte alimentari?

Il sistema alimentare è responsabile di circa il 30% delle emissioni di gas serra in Europa, e il 50% dell'impronta ambientale dei consumi europei deriva dalle scelte alimentari individuali. Contemporaneamente, secondo i dati del Global Burden of Disease Study analizzati dalla Società Italiana di Nutrizione Clinica e Metabolismo, in Italia abbiamo 97.821 morti prevenibili all'anno attribuibili alla cattiva alimentazione.

Come ASviS sosteniamo il principio del One Health, un approccio integrato che riconosce l'interconnessione fondamentale tra la salute delle persone, degli animali, delle piante e degli ecosistemi. Anche come conseguenza del Covid-19, una fascia sempre più ampia della popolazione è consapevole che ciò che mangiamo e come gli alimenti vengono prodotti e trasformati sono rilevanti per la nostra salute e per l'ambiente.

Cosa intende quando parla di interconnessione?

Tra i tasselli che tornano a essere di primaria importanza, sotto i diversi profili di sostenibilità economica, sociale, ambientale, ci sono le pratiche di allevamento, la ricchezza del suolo, la salubrità delle acque e dell'aria, gli aspetti nutrizionali delle nostre produzioni, i prodotti di qualità a prezzi accessibili e la fiducia del consumatore verso il prodotto. Tutto questo ha comportato l'assegnazione al cibo di un ruolo centrale da parte dell'opinione pubblica e dei policy maker.

E dove entra in gioco la distribuzione?

La maggior parte delle decisioni alimentari degli italiani avviene nei supermercati. La grande distribuzione non si limita a vendere prodotti: orienta concretamente quelle scelte che rappresentano la metà delle emissioni climatiche dei cittadini e una percentuale significativa dei loro rischi sanitari. Durante la pandemia, la grande distribuzione si è dimostrata un'infrastruttura di resilienza sociale. Quella stessa infrastruttura può giocare un ruolo chiave nella transizione verso stili alimentari più sani e sostenibili.

«Abbiamo una convergenza storica tra principi costituzionali, urgenza climatica, necessità sanitaria e domanda di mercato. Chi la coglie per primo acquisisce vantaggio strategico»

DALLA TEORIA AL SISTEMA: PERCHÉ HUMAN&GREEN FUNZIONA

Lei coordina scientificamente il progetto Human&Green Retail Experience. Perché ha accettato questo ruolo?

Per tre ragioni. La prima è metodologica: il progetto parte da basi scientifiche solide, non da suggestioni. I valori e i prodotti che caratterizzano la dieta mediterranea consentono di disporre di cibo salubre, di provenienza affidabile e spesso ravvicinata, la cui produzione determina i minimi impatti ambientali possibili. Non è un caso che essa sia stata riconosciuta in seno all'UNESCO come patrimonio immateriale dell'umanità.

La seconda ragione è operativa: il progetto traduce complessità scientifica in uno score comprensibile e utilizzabile. Integra i parametri UNESCO della Dieta Mediterranea, le metodologie LCA per l'impatto ambientale, i dati epidemiologici validati. È l'opposto del greenwashing.

La terza è sistemica: coinvolge l'intera filiera, dalla produzione alla distribuzione, creando un linguaggio comune.

Ma sistemi di scoring alimentare esistono già. Cosa rende questo diverso?

La differenza è che questo non parte da un algoritmo astratto o da una visione parziale della nutrizione. Parte da un patrimonio UNESCO validato scientificamente. Non stiamo inventando nulla: stiamo rendendo operativo ciò che già sappiamo funzionare. È un modello che ha dimostrato efficacia sanitaria e sostenibilità ambientale nel lungo periodo.

E funziona davvero su scala industriale?

I test pilota su Cortilia ed EasyCoop dimostrano che sì, è scalabile. Lo stesso algoritmo serve mercati diversissimi: dal gourmet al mainstream. Questo è fondamentale: se crei un sistema che funziona solo per nicchie di mercato, non cambi il sistema. Qui l'obiettivo è diverso: rendere le scelte salutari e sostenibili accessibili, comprensibili e convenienti per la maggioranza della popolazione.

Alcuni critici sostengono che questi sistemi semplificano troppo la complessità nutrizionale.

Ogni sistema di misurazione è per definizione una semplificazione. La domanda è: questa semplificazione è scientificamente fondata e operativamente utile? Nel nostro caso pensiamo che la risposta sia positiva. Stiamo costruendo un comitato scientifico che includerà esperti di nutrizione, LCA, economia circolare, epidemiologia. Non è un algoritmo nato in una stanza di tecnici distanti dal mondo reale: è uno strumento che si basa su decenni di ricerca e che traduce conoscenze validate in un punteggio utilizzabile.

Come si inserisce tutto questo nel quadro europeo?

Non dimentichiamoci che già nel 2020, nell'ambito del Green Deal, la Commissione europea ha adottato la strategia Farm to Fork, finalizzata a migliorare la sostenibilità del sistema agroalimentare e l'accesso al cibo sano e sostenibile, incrementando il reddito dei produttori primari. Nel 2024, con il secondo mandato Von der Leyen, questo impegno è stato rinnovato attraverso la nuova "Visione per l'agricoltura e l'alimentazione" che indica come garantire la competitività e la sostenibilità a lungo termine del nostro settore agricolo entro i confini planetari.

«I valori della dieta mediterranea consentono cibo salubre, di provenienza affidabile, con minimi impatti ambientali. Ora si tratta di rendere operativo questo patrimonio UNESCO»

Green Retail  - Dalla tradizione al sistema: come rendere operativo il patrimonio Unesco Dieta Mediterranea

LA GOVERNANCE COME FATTORE CRITICO

Il progetto richiede una governance condivisa tra tutti gli stakeholder: produttori, distributori, istituzioni. È fattibile?

È complesso ma necessario. E abbiamo modelli da cui imparare. Prendiamo il protocollo FSC per le foreste o il Marine Stewardship Council per la pesca: sono sistemi multi-stakeholder che funzionano perché hanno governance chiare, standard verificabili, terze parti indipendenti. HG Retail Experience può seguire questo modello: uno standard scientifico, una governance partecipata, meccanismi di verifica trasparenti.

Ma nel settore alimentare italiano la frammentazione è estrema.

Vero, ed è proprio questo il punto. Un sistema di scoring condiviso può diventare il linguaggio comune che manca. Oggi ogni attore parla il proprio dialetto: il produttore parla di qualità, il distributore di margini, l'ambientalista di emissioni, il nutrizionista di salute. Uno score mediterraneo integrato traduce tutto questo in un'unica metrica comprensibile. Diventa l'esperanto della filiera.

Chi deve guidare questa governance?

Serve un'architettura a tre livelli. Al vertice, un comitato scientifico indipendente che valida metodologie e aggiornamenti: università, enti di ricerca, ASviS. Al centro, un tavolo operativo con i rappresentanti della filiera: agricoltura, industria, distribuzione. Alla base, meccanismi di verifica trasparenti e audit indipendenti. È un modello che richiede investimento iniziale, ma una volta implementato diventa autosostenibile.

«Serve un'architettura chiara: comitato scientifico indipendente al vertice, tavolo operativo della filiera al centro, verifica trasparente alla base»

VISION 2030: IL RETAIL COME INFRASTRUTTURA DI RESILIENZA

Guardando al 2030, quale ruolo vede per il retail alimentare in un mondo di crisi climatiche e sanitarie ricorrenti?

Il retail può evolversi da semplice canale distributivo a vera infrastruttura di resilienza sociale. La grande distribuzione si è già dimostrata tale durante la crisi pandemica. Nel 2020, come ASviS, lanciammo "AlleanzaAgisce", una campagna di solidarietà per raccogliere e diffondere le iniziative messe in campo dalla nostra rete sul territorio. La risposta fu straordinaria e il settore del retail alimentare fu uno dei primissimi ad attivarsi con la donazione di buoni pasto o la distribuzione della spesa ai più bisognosi.

Analogamente, i centri commerciali sono sempre più luoghi di accoglienza per anziani e persone fragili durante le ondate di calore che colpiscono il nostro Paese. Sono funzioni importanti, che andrebbero "messe a sistema" con un impegno più complessivo delle imprese della grande distribuzione a favore dello sviluppo sostenibile.

È una visione molto ambiziosa.

Ma è anche pragmatica. Pensate a cosa è successo durante la pandemia: i supermercati sono stati l'infrastruttura essenziale che ha tenuto in piedi il paese. Ora immaginate se quella stessa infrastruttura lavorasse quotidianamente per migliorare la salute pubblica e ridurre l'impatto climatico. Non sto parlando di retorica: sto parlando della possibilità di trasformare ogni supermercato in uno spazio dove le scelte più salutari per le persone coincidano con quelle più rispettose per il pianeta.

E il settore pubblico che ruolo gioca?

Il settore pubblico deve creare il contesto favorevole: politiche fiscali che premiano comportamenti virtuosi, appalti pubblici che valorizzano i sistemi di scoring certificati, integrazione con le politiche sanitarie nazionali. Ma non deve sostituirsi al mercato. Il modello migliore è quello delle partnership pubblico-private: lo Stato definisce gli obiettivi di salute pubblica e riduzione emissioni, il mercato trova le soluzioni più efficienti per raggiungerli.

Con la Direttiva CSRD che obbliga a rendicontare impatti ambientali e sociali, cambia qualcosa?

Si, soprattutto se non viene interpretata come un obbligo, ma come l’occasione per ripensare i processi produttivi e la qualità dei prodotti, cioè la sostenibilità del tutto. Per un retailer alimentare, questo significa dover misurare e comunicare l'impatto ambientale del proprio assortimento, ma anche il rispetto dei diritti umani e dei lavoratori. Chi si sta già dotando di sistemi di misurazione come HG Retail Experience partirà avvantaggiato. Chi no, dovrà correre ai ripari.

«Il retail può diventare infrastruttura di resilienza sociale: una rete che ogni giorno orienta milioni di persone verso scelte salutari e sostenibili»

 

UN'OPPORTUNITÀ DI DIALOGO E COSTRUZIONE CONDIVISA

Il Forum del 14 ottobre 2025 rappresenta un momento importante per il progetto. Quale valore può avere questo incontro tra tutti gli stakeholder?

Prima della pandemia l'ASviS aveva lanciato l'iniziativa "Saturdays for Future" proprio per coinvolgere la grande distribuzione nella sensibilizzazione della popolazione sui temi della sostenibilità. Forse sarebbe il caso di rilanciare quell'idea. Vedo il Forum come un'opportunità preziosa per far dialogare tutti gli attori della filiera attorno a una visione comune.

Non è tanto questione di prendere decisioni definitive in quella giornata, quanto di creare le condizioni perché il progetto possa evolversi da prototipo a sistema condiviso. Servirà a raccogliere adesioni di principio, comprendere le diverse prospettive, identificare le questioni operative che dovranno essere affrontate.

Quindi più un momento di ascolto che di commitment immediato?

Esattamente. Con i primi test abbiamo dimostrato la fattibilità tecnica. Ora serve comprendere come i diversi attori vedono la propria partecipazione: quali opportunità intravedono, quali criticità percepiscono, quali condizioni considerano necessarie. Da questo dialogo emergerà naturalmente la volontà di strutturare una governance più articolata nei mesi successivi.

E se alcuni stakeholder restassero in attesa?

È comprensibile. I grandi cambiamenti nel retail sono sempre avvenuti per tappe progressive. Pensi al codice a barre, alla tracciabilità alimentare, alle certificazioni bio: all'inizio c'erano pionieri, poi una massa critica crescente, infine uno standard consolidato. Il Forum permetterà a ciascuno di capire in quale fase vuole posizionarsi. Chi vede l'opportunità di muoversi per primo acquisisce esperienza e visibilità, chi preferisce attendere potrà valutare l'evoluzione del sistema.

 

       
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