Fabrizio Vallari
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Malessere per 1 lavoratore su 6, crolla il legame con l'azienda
I risultati dell’HR Trends & Salary Survey di Randstad Professionals con l’ASAG dell’Università Cattolica.
Nell’ultimo anno, in uno scenario socio-economico di forte incertezza, nelle imprese italiane sono aumentate le assunzioni e la formazione del personale, ma è crollato il legame con l’azienda e il senso di appartenenza dei lavoratori. Un segnale del crescente malessere, dimostrato dal fatto che solo un lavoratore su cinque (il 19%, in caduta libera rispetto al 33% dello scorso anno) percepisce benessere e serenità nella sua organizzazione, mentre ben il 15% dice apertamente di stare male nel posto di lavoro (in aumento di 4 punti). Ma i direttori HR non hanno la stessa percezione: quasi metà dei responsabili delle risorse umane italiani rileva un livello di benessere nella sua organizzazione, una quota in aumento rispetto allo scorso anno (43% contro il 31%) e solo l’1% evidenzia vero malessere (era il 19% nel 2022).
Non a caso, se chiedono ai lavoratori le principali preoccupazioni per il futuro nel loro impiego, queste sono proprio malessere psicologico, stanchezza e rischio di burn out, mentre nella percezione degli HR i lavoratori sono soprattutto preoccupati per la riduzione dello stipendio e le difficoltà ad affrontare le spese. Per il 44% dei lavoratori italiani la propria azienda non ha attuato alcuna strategia per trattenere le persone o favorire il senso di appartenenza, e quando c’è stata, si è limitata a indagini di clima interno (21%) o attività di formazione (18%) con scarsi risultati. Mentre per gli HR solo il 15% delle aziende è realmente “inadempiente” e azioni di formazione, indagini interne e piani di sviluppo competenze hanno prodotto effetti concreti, soprattutto un miglioramento del clima aziendale.
Sono alcuni risultati dell'HR Trends & Salary Survey 2023, la ricerca di Randstad Professionals - divisione di Randstad specializzata in ricerca e selezione di middle e senior management - in collaborazione con l’Alta Scuola di Psicologia Agostino Gemelli (ASAG) dell’Università Cattolica, che ha esplorato gli ultimi trend in ambito risorse umane. Un’indagine quali-quantitativa, condotta su un campione di oltre 300 responsabili risorse umane e 630 potenziali candidati (occupati e non occupati), per mettere a confronto le loro opinioni sull’impatto in azienda dello scenario socio-economico, sulle strategie di risposta delle organizzazioni e sul significato di “human sustainability”.
“La ricerca ci restituisce un quadro complesso della situazione che stiamo vivendo come società e mondo del lavoro e ci invita a riflettere non solo sulla necessità di dare risposte ai candidati ma anche sulla capacità di imparare a porre (e a porci) nuove domande - dichiara Maria Pia Sgualdino (nella foto), Head of Randstad Professionals. - In questo contesto economico e geopolitico caratterizzato da una profonda incertezza, notiamo un generale allineamento tra candidati e HR sui grandi cambiamenti in atto nelle aziende, ma anche un forte scollamento sul livello di benessere percepito. I candidati sono critici sull’assenza di interventi per creare ambienti di lavoro adatti al benessere e alla produttività ed evidenziamo anche una distanza rispetto all’effettiva implementazione di strategie per favorire retention e senso di appartenenza. È necessario per gli HR cercare un maggiore raccordo con la percezione dei lavoratori su aspetti diventati sempre più rilevanti, migliorando la comunicazione su strategie e piani di intervento”.
“Nella attuale trasformazione dei mondi organizzativi, il tema del benessere e della valorizzazione delle persone nei luoghi di lavoro è un aspetto ritenuto da tutti cruciale, ma quello fra HR e candidati non sempre è un incontro fruttifero - spiega Caterina Gozzoli, componente del Direttivo dell’Alta Scuola di Psicologia Agostino Gemelli dell’Università Cattolica -. A fronte di variegate iniziative da parte delle organizzazioni emerge una sorta di scollamento tra sforzi meritevoli da un lato e reale beneficio dall’altro. Ciò che sembra mancare è una ipotesi condivisa su cosa è oggi davvero rilevante per poter fare bene il proprio lavoro (condizione di base per poter stare bene al lavoro). E ciò che pare rilevante non è una cosa o una proposta specifica ma qualcosa in profondo mutamento che va ancora compreso. Ha a che fare con il significato del lavoro (nuovo?), con la sostenibilità, con la vita e i propri valori, con equità e processi decisionali più partecipati, con il riconoscimento economico adeguato, con la valorizzazione della differenza… in stretto dialogo con la specifica realtà organizzativa. L’invito che emerge dalla ricerca è, dunque, di andare a fondo nel confronto tra HR e lavoratori per capire insieme dove poter poggiare le basi condivise per promuovere buon lavoro e benessere nelle organizzazioni e contrastare il malessere emergente”.
I DATI DELLA RICERCA
La situazione in azienda. Per gli HR italiani negli ultimi mesi sono aumentate soprattutto le assunzioni (per il 62%), gli stipendi (54%), la formazione del personale (49%), mentre è diminuito il legame con l’azienda e il senso di appartenenza (24%). Una visione coerente con quella dei candidati, per i quali in 12 mesi sono aumentate soprattutto assunzioni (37%) e - in minor misura - formazione (23%) e stipendi (22%), ma che sottolineano un vero e proprio crollo del legame con l’azienda e del senso di appartenenza (per il 39%).
Sulle preoccupazioni percepite da HR e candidati, invece, le differenze sono evidenti. Nello scenario attuale, 4 candidati su 10 indicano fra le loro principali preoccupazioni il malessere psicologico (40%), poi le minori opportunità di carriera (32%) e la difficoltà a conciliare vita privata e lavoro (31%). Mentre gli HR hanno una visione diversa: secondo loro, i lavoratori sono soprattutto preoccupati per la riduzione dello stipendio e le difficoltà ad affrontare le spese (38%), con le difficoltà di conciliazione e malessere psicologico in secondo piano.
Candidati e HR convergono sul fatto che l’azienda sia attenta a garantire la sicurezza sul e del posto di lavoro e la condivisione dei valori aziendali. Ma gli HR ritengono anche che l’organizzazione dedichi buona attenzione alla formazione, un aspetto su cui invece dipendenti si sentono poco considerati (solo il 20% la rileva).
Benessere e malessere. Per il 70% degli HR il tema del benessere è diventato più importante in azienda nell’ultimo anno (e anche per il 60% dei candidati), per il 43% anche a fronte anche a fronte di una possibile riduzione dello stipendio e delle opportunità di carriera (per i candidati il 40%). Nel livello di benessere o malessere percepito però lo scollamento è evidente: il benessere migliora per gli HR (il 43%, contro il 34% dello scorso anno), peggiora decisamente per i candidati (il 19%, contro il 33% del 2022). E invece, il livello di malessere migliora per gli HR (solo l’1% lo percepisce, contro il 19% del 2022) e peggiora per i candidati (il 15%, contro l’11% di un anno fa). Sia HR che candidati rilevano tra i principali elementi di malessere il sovraccarico di lavoro (in forte crescita per i candidati) e la mancanza di motivazione, ma gli HR evidenziano anche stress e ansia e mancanza di obiettivi, i candidati sovraccarico di lavoro, insoddisfazione per gli incarichi e impossibilità di fare salti professionali.
Strategie di retention. Per il 44% dei candidati le aziende non attuano alcuna strategia di retention e di potenziamento del senso di appartenenza, mentre per gli HR sono solo il 15% le aziende «inadempienti» ed emerge, invece, una certa convergenza sulla tipologia di strategia attuata. Quando presenti, le iniziative di retention sono state in prevalenza attività di formazione e indagini di clima interno, con effetti di miglioramento del clima aziendale (per i candidati molto inferiori rispetto a quelli rilevati dagli HR).
Human sustainability. Il concetto di occupazione sostenibile per gli HR significa principalmente sviluppo di professionalità (20%), creare la condizione ideale (19%), equilibrio tra vita privata e lavoro (15%). Mentre per i candidati il work life balance è al primo posto nel 24% dei casi, e poi con percentuali attorno al 10% si collocano il salario adeguato e l’attenzione all’ambiente. Le azioni «sostenibili» attivate dalle aziende sia per gli HR sia per i candidati, anche se con pesi molto diversi, riguardano la garanzia di un ambiente di lavoro sicuro e salutare, ma gli HR citano anche le iniziative volte a creare un buon clima interno e a garantire equità, mentre i candidati sottolineano l’impatto ambientale delle attività di produzione. Per gli HR i motivi per cui in azienda non si da spazio al tema della human sustainability sono “altre priorità”, mentre per i candidati è la mancanza di competenze.
La flessibilità. Il livello di flessibilità nella gestione degli spazi e azioni attivate in azienda risulta ancora limitato sia per gli HR (30%) che per i candidati (36%). I direttori personale sono più ottimisti dei candidati rispetto all’implementazione in azienda dopo la pandemia di azioni per creare spazi per migliorare l’armonia (29%), la produttività (22%), la socializzazione (21%) e il teamworking (11%).