La distanza tra intenzioni e pratiche quotidiane si allarga: l'inchiesta di Altroconsumo fotografa un Paese più informato ma meno attivo rispetto al 2021. Tra alimentazione, mobilità ed energia domestica, i costi elevati e la carenza di alternative frenano la transizione verso stili di vita a minore impatto ambientale.
La transizione verso modelli di consumo più responsabili procede a rilento in Italia. L'indagine comparativa condotta da Altroconsumo su un campione di 1.000 cittadini rivela un paradosso: mentre la sensibilità ambientale si rafforza, i gesti concreti arretrano in quasi tutti gli ambiti della vita quotidiana. Dal carrello della spesa agli spostamenti urbani, dalla gestione energetica domestica all'acquisto di beni durevoli, emerge un divario crescente tra ciò che gli italiani riconoscono come importante e ciò che effettivamente praticano.
Il confronto con i dati raccolti nel 2021 attraverso lo stesso questionario consente di misurare l'evoluzione - o l'involuzione - dei comportamenti in cinque aree critiche: alimentazione, mobilità, consumi energetici e idrici, acquisto di beni e servizi, gestione dei rifiuti. L'analisi restituisce la fotografia di un sistema dove la pressione economica, l'assenza di infrastrutture adeguate e la scarsità di informazioni pratiche ostacolano il passaggio dalla teoria alla pratica.
Il paradosso della consapevolezza senza azione
Il 95% degli intervistati considera oggi fondamentale adottare comportamenti sostenibili nella quotidianità, contro il 70% del 2021. Un balzo significativo che testimonia l'avanzamento della sensibilità collettiva sui temi ambientali. Questa maggiore attenzione, tuttavia, fatica a tradursi in modifiche concrete delle abitudini di consumo.
Il Consumer Sustainable Behaviour Index (CSBI), elaborato da un network di 39 esperti internazionali per confrontare i livelli di sostenibilità tra diversi Paesi, registra per l'Italia un calo di due punti rispetto al 2021. La flessione non riguarda esclusivamente il contesto italiano: coinvolge quasi tutti gli otto Paesi partecipanti all'indagine coordinata da Euroconsumers (Austria, Belgio, Canada, Italia, Portogallo, Slovenia, Spagna, Stati Uniti). Solo il Belgio segna un andamento positivo, mentre il Canada mantiene una posizione stabile.
Le cause di questa battuta d'arresto sono multiple. L'allentamento dell'attenzione politica verso gli obiettivi del Green Deal europeo, con normative nazionali che ne diluiscono l'ambizione originaria, si intreccia con la crescente pressione sui bilanci familiari. In un contesto segnato da inflazione e instabilità economica, le scelte più sostenibili vengono percepite come un lusso difficilmente accessibile.
La percezione distorta degli impatti ambientali
Esiste una discrepanza rilevante tra la valutazione degli esperti e la percezione dei cittadini riguardo agli ambiti della vita quotidiana con maggiore impatto ambientale. La gestione dei rifiuti, che per la comunità scientifica rappresenta l'area meno impattante, viene indicata dagli intervistati come la più rilevante. Al contrario, l'alimentazione - identificata dagli studiosi come il settore con il peso ambientale più elevato - scivola al terzo posto nella graduatoria percepita dai consumatori.
Questa inversione di priorità ha conseguenze dirette sui comportamenti. La raccolta differenziata, gesto immediato e a costo zero, viene praticata con scrupolo dal 76% del campione. Al contrario, la riduzione dei prodotti di origine animale - intervento tra i più efficaci per diminuire l'impronta carbonica alimentare - interessa oggi il 68% degli intervistati, in calo rispetto al 74% del 2021.
Il dato evidenzia come la facilità di esecuzione prevalga sull'efficacia ambientale nella scelta delle azioni da intraprendere. Un orientamento comprensibile, ma che rischia di concentrare gli sforzi su fronti secondari, trascurando le leve con maggiore potenziale di trasformazione.
Alimentazione: la sostenibilità perde terreno nel carrello
Nel 2021 l'Italia occupava il secondo posto nel confronto internazionale per comportamenti virtuosi legati all'alimentazione. Quattro anni dopo, il Consumer Sustainable Behaviour Index per questo settore registra una flessione di due punti, pur mantenendo il Paese in una posizione medio-alta.
La quota di chi si impegna attivamente per ridurre lo spreco alimentare è scesa dal 71% al 67%. Un dato che appare controintuitivo in un periodo caratterizzato dalla necessità di contenere le spese domestiche. Eppure proprio lo spreco alimentare rappresenta uno degli ambiti dove sostenibilità ambientale e convenienza economica coincidono perfettamente.
Anche l'attenzione verso prodotti stagionali e locali ha subito un arretramento. Questi alimenti, oltre a garantire una minore impronta carbonica grazie alla riduzione dei trasporti, risultano generalmente più accessibili sul piano economico rispetto alle alternative fuori stagione o importate. Il loro declino nei comportamenti d'acquisto segnala una disconnessione tra le opportunità disponibili e la consapevolezza dei consumatori.
La principale barriera all'adozione di un'alimentazione più sostenibile resta la percezione del costo. Una quota significativa di intervistati ritiene che i prodotti biologici o certificati comportino un esborso eccessivo, o che modificare il regime alimentare in direzione sostenibile implichi inevitabilmente un aggravio di spesa. Questa convinzione, spesso non verificata, blocca sul nascere possibili cambiamenti.
La seconda criticità riguarda la mancanza di alternative percepite. Il fenomeno può avere radici sia oggettive - effettiva carenza di prodotti sostenibili in determinati territori o punti vendita - sia culturali, legate a una conoscenza limitata delle opzioni disponibili e alla resistenza verso la modifica di abitudini consolidate.
Mobilità: l'auto privata mantiene il dominio
Nell'ambito degli spostamenti, l'Italia conferma nel 2025 la posizione di retroguardia già occupata quattro anni prima. La dipendenza dall'auto privata, presente in 9 famiglie su 10 e utilizzata anche per tragitti brevi, appare impermeabile ai richiami della sostenibilità.
Solo il 43% degli intervistati dichiara di ricorrere all'automobile esclusivamente quando strettamente necessario, contro il 53% del 2021. La percentuale di chi si muove quotidianamente a piedi, in bicicletta o con mezzi pubblici è scesa dal 38% al 36%. Questi dati collocano la mobilità come l'area con le performance più critiche, nonostante gli esperti la identifichino come il secondo settore per impatto ambientale dopo l'alimentazione.
Le ragioni di questa resistenza al cambiamento sono stratificate. Il modello culturale dominante continua a identificare nell'automobile il mezzo privilegiato per ogni spostamento. A questo si aggiunge una scarsa consapevolezza dell'impatto ambientale generato dai trasporti privati e una conoscenza limitata dei vantaggi - anche economici - legati ad alternative più sostenibili.
Gli intervistati segnalano però criticità oggettive: insufficienza di infrastrutture dedicate (piste ciclabili, percorsi pedonali protetti), carenza di servizi di mobilità condivisa, inadeguatezza del trasporto pubblico in termini di copertura territoriale e frequenza. Il costo percepito delle soluzioni elettriche o ibride, considerato ancora proibitivo da molti, completa il quadro degli ostacoli.
Efficienza energetica domestica: gli interventi strutturali restano inaccessibili
Le pratiche a costo zero per il risparmio di acqua ed energia - spegnere le luci, non lasciare scorrere l'acqua inutilmente - mantengono una discreta diffusione, anche se in flessione: le adotta il 57% del campione, contro il 64% di quattro anni fa.
Gli interventi più incisivi, invece, procedono con estrema lentezza. La quota di chi vive in un'abitazione ben isolata è crollata dal 45% al 30%, un dato che riflette sia le difficoltà economiche del periodo sia la complessità burocratica degli incentivi fiscali. I meccanismi di sostegno pubblico, nati per promuovere l'efficientamento energetico, si sono spesso rivelati di difficile accesso: procedure complesse, tempistiche incerte per i rimborsi, requisiti poco chiari hanno finito per scoraggiare molti cittadini.
La sostituzione di elettrodomestici obsoleti con modelli ad alta efficienza resta limitata, mentre soluzioni più radicali come l'installazione di pannelli solari o pompe di calore vengono frenate da costi iniziali elevati, ostacoli burocratici e scarsa conoscenza delle opportunità disponibili.
Il principale freno, ancora una volta, è di natura economica. Gli interventi strutturali su un patrimonio edilizio datato richiedono investimenti significativi che molte famiglie non possono sostenere, nemmeno con il supporto di agevolazioni fiscali. A questo si aggiunge una carenza di informazione pratica sulle soluzioni più efficaci in rapporto ai budget disponibili.
Acquisto di beni: dal "meno e meglio" al consumo impulsivo
Nel 2021, in piena fase pandemica, gli italiani avevano adottato un approccio più selettivo agli acquisti, privilegiando qualità e durata rispetto alla quantità. Il 53% dichiarava di comprare solo l'essenziale, il 57% sceglieva prodotti di lunga durata, il 38% evitava articoli monouso.
Quattro anni dopo, tutte queste percentuali sono calate: 49% per gli acquisti essenziali, 49% per i prodotti di qualità, 29% per l'evitamento del monouso. Il ritorno a dinamiche di consumo più impulsivo si intreccia con la ricerca di gratificazioni immediate in un contesto di incertezza economica e sociale.
Il fenomeno del "comfort shopping" - l'acquisto consolatorio che compensa ansie e frustrazioni - esercita un richiamo difficile da contrastare con argomentazioni razionali. Quando i prodotti più sostenibili vengono percepiti come troppo costosi, la tentazione di sacrificare qualità e durata in favore di un prezzo più basso si fa forte.
Eppure esistono alternative: il mercato dell'usato, i prodotti ricondizionati, le piattaforme di scambio rappresentano opzioni che coniugano accessibilità economica e riduzione dell'impatto ambientale. Il loro utilizzo, tuttavia, richiede un cambio di mentalità e la disponibilità a modificare consuetudini consolidate.
Gestione dei rifiuti: differenziare non basta
La raccolta differenziata mantiene una solida adesione, praticata dal 76% degli italiani (contro l'80% del 2021). Si tratta di un'abitudine ormai radicata, resa più semplice dalla capillarità dei servizi e dall'assenza di costi diretti per il cittadino.
La percentuale di chi utilizza i prodotti più a lungo prima di sostituirli è rimasta sostanzialmente stabile (54% contro 53% del 2021), mentre è calata la quota di chi sceglie di ripararli invece che sostituirli: dal 55% al 49%. Questa flessione può derivare da diverse cause: difficoltà nel reperire servizi di riparazione accessibili, costi percepiti come eccessivi rispetto all'acquisto di un prodotto nuovo, mancanza di informazioni sulle opportunità disponibili.
L'ostacolo principale resta la carenza di servizi e infrastrutture. Anche nella raccolta differenziata permangono margini di miglioramento significativi: l'indagine Altroconsumo sullo smaltimento dell'olio alimentare esausto ha evidenziato come molti cittadini non conoscano le modalità corrette di conferimento o non abbiano accesso a punti di raccolta vicini e funzionali.
Le implicazioni per il sistema distributivo
I dati dell'indagine Altroconsumo sollevano interrogativi rilevanti per la grande distribuzione organizzata. Se il 95% dei consumatori riconosce l'importanza della sostenibilità ma solo una minoranza traduce questa consapevolezza in comportamenti coerenti, significa che esistono barriere strutturali che il sistema distributivo può contribuire ad abbattere.
La percezione del costo come principale ostacolo apre spazi di intervento concreti: strategie di prezzo che rendano le opzioni sostenibili più competitive, comunicazione trasparente sui vantaggi economici di lungo periodo (prodotti durevoli, alimenti stagionali, riduzione dello spreco), valorizzazione di prodotti a marchio del distributore con caratteristiche di sostenibilità certificate.
La mancanza di alternative percepite chiama in causa l'assortimento e l'organizzazione dello spazio espositivo. Rendere più visibili e accessibili i prodotti sostenibili, fornire informazioni chiare sui loro attributi ambientali, facilitare la comparazione tra diverse opzioni sono leve che la distribuzione può attivare per orientare le scelte d'acquisto.
La carenza di informazione rappresenta forse il fronte più critico. I consumatori faticano a identificare quali comportamenti abbiano l'impatto ambientale più significativo, privilegiando azioni facili ma meno efficaci rispetto a interventi più complessi ma determinanti. La distribuzione può assumere un ruolo educativo, traducendo la complessità delle evidenze scientifiche in messaggi pratici e comprensibili.
Il tema della mobilità sostenibile per raggiungere i punti vendita, pur non dipendendo direttamente dal retailer, può essere affrontato attraverso partnership con operatori di mobilità condivisa, incentivi per chi raggiunge il negozio con mezzi alternativi all'auto, localizzazione strategica dei punti vendita in prossimità di nodi di trasporto pubblico.
Oltre gli incentivi: serve un cambio di paradigma
L'indagine Altroconsumo evidenzia come la transizione verso comportamenti più sostenibili non possa affidarsi esclusivamente alla buona volontà individuale. La struttura dei prezzi, l'organizzazione delle infrastrutture, la disponibilità di informazioni affidabili determinano in misura decisiva la possibilità concreta di modificare le abitudini quotidiane.
Gli incentivi pubblici restano necessari, ma devono essere ripensati per risultare effettivamente accessibili. Procedure semplificate, tempi certi per i rimborsi, requisiti chiari rappresentano condizioni minime per trasformare le agevolazioni da strumenti teorici a supporti concreti.
Il settore privato, e in particolare la distribuzione moderna, può accelerare la transizione valorizzando le evidenze scientifiche sull'impatto ambientale dei diversi prodotti e servizi, rendendo più competitive le opzioni sostenibili, investendo in comunicazione che colmi il divario tra consapevolezza generica e conoscenza pratica.
La distanza tra il 95% di italiani che ritiene importante la sostenibilità e le percentuali ben più contenute di chi adotta comportamenti coerenti non è un limite invalicabile. Rappresenta piuttosto lo spazio d'azione per politiche pubbliche e strategie d'impresa capaci di trasformare l'intenzione in pratica quotidiana.
Per approfondire l'indagine completa: altroconsumo.it