Il presidente di Conad delinea una visione in cui la grande distribuzione diventa protagonista attiva della transizione verso modelli alimentari più salubri. Dall'informazione nutrizionale avanzata ai rapporti di filiera rinnovati, fino alla marca del distributore come ambasciatore della dieta mediterranea: una strategia che parte dai bisogni emergenti dei consumatori per ridisegnare l'intero ecosistema retail.
Presidente Lusetti, grazie di essere qui con noi per anticipare alcuni dei temi dello Human&Green Retail Forum che avrà luogo il 14 ottobre a Milano. In quella data ci ritroveremo con gli stakeholder della filiera agroalimentare italiana per affrontare un tema cruciale che le riassumo con una domanda: come la GDO può aiutare le persone a fare una spesa a minore impronta ambientale e maggiore equilibrio nutrizionale, applicando i principi della dieta mediterranea?
Innanzitutto grazie per questa opportunità che mi consente di esprimere un'opinione su un tema che sta assumendo nel tempo connotati sicuramente di grande problematicità, perché il numero di persone che hanno una qualità della vita peggiorata, dovuta alla cattiva alimentazione, è in costante continua crescita, non solo nel nostro paese. Anzi, noi registriamo dati sicuramente migliori rispetto a molti paesi occidentali, ma non possiamo non porci il problema e quindi mettere un’attenzione particolare nel momento in cui forniamo assortimenti, nel momento in cui costruiamo proposte dal punto di vista alimentare. Questo argomento non può non coinvolgerci e non farci sentire partecipi.
In questo senso noi distributori possiamo lavorare sicuramente su diversi temi, il primo è l'informazione. Io non parlerei di educazione perché l'educazione è qualcosa che prevalentemente dovrebbe vedere impegnate le istituzioni, io parlerei di informazione, di capacità di trasferire ai nostri clienti, ai nostri consumatori il più possibile correttamente quelle che sono le informazioni di tipo nutrizionale, quelli che sono i contenuti organolettici, quelle che sono le modalità d'uso dei prodotti che vengono acquistati nei nostri punti di vendita e quindi aumentare la qualità e la quantità dell'informazione.
In questo senso, l'innovazione tecnologica che ha introdotto i QR code sulle etichette ci mette nella condizione di fornire un'importante quantità di informazione. Quindi il tema dell'informazione è sicuramente centrale.
L'altro tema è il fatto di lavorare facendo più sistema rispetto al passato.
Ora, per quello che ci riguarda, noi in CONAD lo sviluppo di una politica di sostenibilità l'abbiamo messo al centro della nostra attenzione e della nostra piramide strategica. Per noi sostenibilità vuol dire sostenibilità ambientale, sostenibilità economica, sostenibilità soprattutto sociale. In questo contesto cerchiamo di introdurre nelle relazioni con i nostri stakeholder e quindi soprattutto con i nostri fornitori, quegli elementi che ci consentono di stringere rapporti e relazioni positive lungo tutta la filiera.
In questa attività il prodotto a marchio del distributore è elemento fondamentale, perché la capacità di contribuire a un cambiamento virtuoso in tutta la filiera, nel prodotto a marchio si estrinseca in maniera più completa e più piena.
>Possiamo dire che la marca del distributore, che oggi rappresenta il 26% del mercato italiano, può diventare un ambasciatore della dieta mediterranea?
Allora partiamo da un presupposto: il nostro paese, l'Italia, è un grandissimo paese di trasformatori. Perché la quantità di terreno destinata all'agricoltura, in questi anni è diminuita, e le tecnologie, l'innovazione tecnologica, la cura, l'aumento della produttività per ettaro, sono tutti elementi che però ci danno una dimensione di un paese che non ha una produzione tale da soddisfare tutto il fabbisogno alimentare del nostro paese.
Noi siamo grandi importatori di una quantità incredibile di prodotti e quindi qui è il primo argomento, il primo tema, nel senso che non abbiamo sufficiente prodotto per soddisfare i fabbisogni alimentari del nostro paese. Nonostante questo, su tutta una serie di merceologie siamo anche grandi esportatori. Ma innanzitutto questa realtà della trasformazione dei prodotti, della nostra filiera, bisogna che sia presente in tutte le occasioni nelle quali ci poniamo obiettivi di miglioramento e di capacità di informare correttamente i consumatori.
La MDD - sicuramente i prodotti a marchio del distributore che in gergo si definiscono MDD - è uno strumento fondamentale per poter realizzare questa attività anche informativa. Noi lo facciamo con le linee premium che abbiamo, cioè Sapori dintorni ed Equilibrio, che sono tutte linee che nascono come risposta a un fabbisogno di ricerca di salubrità e di equilibrio dal punto di vista energetico, e dei contenuti che i consumatori, negli ultimi anni, hanno dimostrato di privilegiare rispetto ad altre modalità e ad altri criteri di scelta.
Quindi sì, la risposta è: l'MDD può diventare ambasciatore della dieta mediterranea, intesa come capacità, volontà di avere un atteggiamento più salubre. Poi non è solo attraverso i prodotti della dieta mediterranea che realizzi questo elemento, ma è sicuramente l'asse centrale attraverso la quale si sviluppa anche una politica assortimentale.
>Quale ruolo possono avere le istituzioni per supportare la GDO nel promuovere la dieta mediterranea? Pensate a incentivi fiscali, educazione nelle scuole, supporto all'informazione?
Ci sono secondo me due elementi principali, magari non saranno esaustivi, ma sono sicuramente due ambiti nei quali le istituzioni possono e devono fare tanto.
Abbiamo un governo che ha cambiato il nome del Ministero dell'Agricoltura con il Ministero dell’Agricoltura, della Sovranità Alimentare e delle Foreste, (MASAF) che non è il ministero della dieta mediterranea, ma ha molto a che fare con la dieta mediterranea da questo punto di vista. E credo che il primo grande argomento sia quello di creare una condizione affinché le colture di qualità che sono alla base anche della dieta mediterranea non solo vengano in una qualche misura preservate, ma vengano tutelate e vengano sostenute.
Qui c'è una relazione rilevante con l'Europa, che con la proposta di impostazione del nuovo bilancio europeo per la PAC non mi pare che ci stia dando una mano. C'è tutto il tema dei grandi accordi internazionali come il Mercosur, dove accanto a delle chiare ed evidenti situazioni di favore per l'Europa, ce ne sono altre che sono a rischio, soprattutto nel settore agroalimentare, perché ci deve essere una reciprocità.
Ora in Europa abbiamo a volte esagerato con la regolamentazione, di fatto però la salute dei cittadini è al centro di tutte quelle normative che condizionano l'agricoltura e la produzione di alimenti, ma condizionano in maniera giusta, corretta, perché evitano i pesticidi, perché vietano l'uso di certe sostanze, perché c'è un sistema di controlli che riguarda sia la coltivazione di ortofrutta che l'allevamento animale e che vanno preservate perché sono un unicum a livello internazionale e chiunque vuole importare in Europa deve assolutamente rispettare queste norme.
Quindi il tema della reciprocità nei grandi accordi internazionali sul settore agroalimentare è un tema fondamentale. E le istituzioni evidentemente hanno un grandissimo ruolo in questo senso, quindi primo argomento.
Il secondo argomento sul quale le istituzioni possono fare tantissimo è il tema - questo sì - dell'educazione alimentare. A partire dagli asili per arrivare alle scuole, abbiamo assistito a una contraddizione in questo senso. Perché certo non sono attività a costo zero queste però quando negli asili o nelle mense pubbliche introduci degli alimenti che fanno riferimento a una dieta equilibrata e spesso e volentieri traggono spunto dalla dieta mediterranea, e poi fai le gare al massimo ribasso, qui casca l'asino: non puoi pretendere prodotti di qualità e chiedere che costino anche meno di quello che costano i prodotti normali che non rientrano nell'ambito di questa categoria.
Quindi c'è un grande tema di risorse, un grande tema di iniziative che abbiano come riferimento questo aspetto della dieta equilibrata e - aggiungo - della dieta mediterranea per valorizzare le nostre produzioni, ma ci deve essere coerenza e quindi da una parte non puoi chiedere la qualità altissima, e dall'altra il prezzo più basso possibile. Sono due cose inconciliabili.
>Questo del prezzo è un tema davvero dirimente direi e infatti penso che il 14 ottobre con i rappresentanti di Coldiretti, Confagricoltura e le relative filiere, avremo modo di approfondire perché, come sa, loro rivendicano spesso prezzi migliori per i prodotti agroalimentari, proprio nei confronti del cosiddetto buyer power, il potere d'acquisto della grande distribuzione. Non so se vuole lanciare un messaggio in questo senso.
Non posso parlare a nome di tutta la distribuzione perché è evidente che, così come ci sono gli agricoltori che non rispettano le normative, ci sono i distributori che hanno atteggiamenti particolarmente aggressivi. C'è un elemento insito nella negoziazione come in ogni rapporto che è il tasso di conflittualità. Quando queste conflittualità o contrapposizioni rientrano nell'ambito della normalità producono anche miglioramenti considerevoli dal punto di vista organizzativo.
Essere grandi e negoziare non vuol dire essere cattivi. Io vedo il rapporto e la relazione che noi abbiamo con oltre mille produttori di prodotto a marchio: sono tutte organizzazioni, aziende di piccola e media distribuzione, che con noi hanno rapporti pluriennali, che sono cresciute, che hanno oggi la capacità di fare anche investimenti in chiave di sostenibilità, che sono in grado, molte di queste attraverso questa relazione virtuosa, di crescere e diventare loro stessi aziende esportatrici. Se la relazione è sana, è volta al miglioramento dei percorsi e dei processi, risponde ad un principio che per noi è fondamentale: la capacità di durare nel tempo e la possibilità di coltivare questo rapporto perché su quei prodotti mettiamo la nostra faccia.
Quindi a noi non interessa cambiare per un euro il fornitore tutti gli anni, a noi interessa costruire rapporti e relazioni solide. Per cui se il problema esiste non devono venirlo a porre a noi perché noi già siamo operativi in questo senso. Dopodiché questo argomento non può diventare l'alibi per non crescere, per non innovarsi, per non fare le scelte che vanno fatte.
Allora se io guardo la caratteristica principale dell'agricoltura italiana è di imprese che fanno fatica ad avere dimensioni superiori all'ettaro. Questo è un problema. E non è un problema della distribuzione. Quindi o noi siamo nelle condizioni di fare gli investimenti necessari, attraverso la cooperazione, attraverso l'associazionismo, attraverso legislazioni che consentono di crescere a queste imprese anche dimensionalmente, oppure questo argomento non uscirà mai da una logica di tipo assistenziale.
>Grazie per l'esaustiva risposta e per concludere ritorniamo sul tema iniziale: la consapevolezza che la distribuzione ha del suo ruolo nel migliorare la salute e il benessere delle persone e del pianeta. Stiamo andando verso un ruolo di guida della distribuzione in questa transizione o ci sono ancora resistenze legate agli interessi di mercato?
Se noi partiamo dalle abitudini del consumatore, dall'attenzione ai bisogni e alle necessità che ha il consumatore, io credo che nessuno che vuole fare in maniera seria questo mestiere del distributore, il mestiere del trasformatore, il mestiere dell'agricoltore, possa ignorare questo dato e cioè una costante e continua ricerca da parte dei nostri clienti di salute e benessere. Quindi a mio parere nessuno di noi può evitare di affrontare il tema della salubrità dei prodotti e degli assortimenti.
Oggi i consumatori ricercano prodotti che hanno dal punto di vista organolettico e dal punto di vista della composizione alimentare, meno zuccheri, meno sostanze che possono mettere in difficoltà la salute delle persone, che abbiano ingredienti ulteriori. Non cercano il cibo biologico, cercano il cibo salutare.
Leggono di più le etichette, fanno scelte più ragionate e noi abbiamo il dovere di incentivare questo tema dell'informazione. Le cito solo un esempio che mi pare essere particolarmente illuminante di un approccio e di un atteggiamento.
Noi - come le dicevo prima - abbiamo messo al centro della nostra attenzione e della nostra piramide strategica il tema della sostenibilità. Inoltre abbiamo il 35% delle nostre vendite che vengono fatte dai prodotti a marchio. Per questo l'anno scorso a ottobre abbiamo organizzato una convention con i nostri fornitori di prodotto a marchio. E abbiamo lanciato in quella sede il nostro manifesto per la sostenibilità.
Abbiamo detto ai nostri fornitori: «Guardate, noi vogliamo andare in quella direzione e quindi su questo tema chi è in grado di seguirci rimarrà all'interno del nostro rapporto, chi non è in grado rischierà di essere escluso dagli assortimenti e dalla politica commerciale di Conad».
Ma non ci siamo limitati a dire questo, abbiamo anche detto: a chi non è in grado, non per scelta ma perché ha difficoltà finanziarie a fare gli investimenti necessari, diamo un supporto. Così abbiamo siglato una convenzione con SACE per mettere a disposizione le risorse finanziarie necessarie per fare gli investimenti che occorrono per rispondere ai fondamentali di una politica sostenibile, e quindi coerente con la ricerca di un'alimentazione più sana rispetto al passato.
Stiamo sviluppando questa attività e siamo fortemente convinti di questa scelta - al di là delle politiche un po' ballerine dell'Europa, di Trump e i suoi che dicono che non esiste il cambiamento climatico eccetera. Vedo del resto che gran parte della distribuzione organizzata ha questa sensibilità che parte dalla soluzione dei bisogni del consumatore, si sta fortemente orientando nella direzione della salute e della sostenibilità. Diventerà un elemento forte, di vantaggio competitivo, per chi lo sta facendo coerentemente e in maniera seria.
Grazie mille a Mauro Lusetti per queste anticipazioni e ci rivediamo il 14 ottobre per sviluppare questi temi con gli altri stakeholder.
Certamente. Al 14 ottobre.
Arrivederci e grazie a lei.